di Giampaolo Pansa
Mercoledì scorso, a Saint Tropez, nel salire sulla barca della figlia Marina, Silvio Berlusconi è inciampato e ha picchiato la fronte contro qualcosa. È stato un incidente da nulla, subito rimediato con un cerotto robusto. Mi sono sentito molto solidale con il Cavaliere. Ho un anno più di lui e, pur non frequentando barche di vip, mi capita spesso di ingarbugliarmi. Tanto che ho dovuto imparare a fare attenzione a dove metto i piedi. A maggior ragione deve farlo Silvio, in questo Ferragosto che lo vede alle prese con una nuova trappola. È quella che gli sta preparando Matteo Renzi, un vero satanasso travestito da boy scout, un demonio che ha un solo obiettivo: spedire all’inferno chiunque possa insidiarne il potere. Se fosse rimasto tra gli scout invece che andare all’assalto di Palazzo Chigi, oggi sarebbe il personaggio giusto per un film dell’orrore. Nei panni del ragazzo sorridente e generoso che scaraventa in un pozzo le vecchiette o spedisce verso un branco di cinghiali il signore ottantenne che si è perso dentro un bosco.
Anche il vero Renzi è specialista in tranelli. L’ultimo è emerso proprio il giorno del ruzzolone di Berlusconi sulla barca della figlia Marina. Sul Messaggero è apparsa una lunga intervista del bravo Alberto Gentili a uno dei due vicesegretari del Pd, Lorenzo Guerini. Aveva un titolo che mi ha obbligato a fare un salto sulla sedia. Diceva: «Berlusconi torni al tavolo. Noi pazienti, lo attendiamo». Sei parole messe tra virgolette per garantire il lettore che erano proprio quelle uscite dalla bocca del vice Renzi. Non occorrono molte spiegazioni. Per chi segue il tormentone della politica italiana anche soltanto attraverso i telegiornali, era tutto chiaro. Dopo aver rotto il cosiddetto Patto del Nazareno, scegliendo da solo il vip da mandare al Quirinale, Matteo aveva gettato nel guardaroba dei cani l’intesa con Silvio che sembrava destinata a durare. Ma la politica, per lo meno quella italiana, mi ricorda quello che aveva detto un re della letteratura tedesca, Bertolt Brecht: «Il fine del teatro è il divertire». Un motto che si adatta come un guanto alle mosse della Casta italica, primo fra tutti il Ganassa gigliato.
L’intervista al Messaggero era molto importante anche per il personaggio che parlava. Può sembrare strano, ma il Guerini è una figura poco nota al grande pubblico. Allora dirò che è nato a Lodi, in novembre compirà 49 anni e viene da una famiglia della borghesia piccola piccola: il padre era impiegato in una vetreria e la madre faceva la cuoca delle scuole elementari. Invece di frequentare i Cocoricò dell’epoca e trastullarsi con le droghe, il ragazzo Guerini ha sgobbato come si usava ancora negli anni tra i Settanta e i Novanta. Da democristiano senza grilli per la testa, ha scalato un carica dopo l’altra, dapprima presidente della Provincia, poi sindaco di Lodi e oggi nel cerchio magico di Renzi. Perché il Ganassa fiorentino l’ha voluto accanto a sé e in una posizione tanto delicata? Prima di tutto, per le doti di freddo mediatore. Dicono che Matteo lo chiami con affetto Arnaldo. Per ricordare a se stesso che Guerini sembra la controfigura di un grande della Balena Bianca: Arnaldo Forlani. L’ho conosciuto bene e ne ho scritto molte volte. Aveva una dote tra le altre: era un signore che non si scomponeva mai. Anche di fronte alle novità più rischiose, alzava le spalle, sospirando: «È l’eterno ritorno del sempre uguale». Guerini è più o meno come lui. Non si scompone. Parla pochissimo. Lavora al riparo dall’invadenza dei cronisti e delle telecamere. Insomma dei due vice di Renzi nel Partito democratico, quello che davvero conta è lui, non la signora Serracchiani. Il suo è un caso sbalorditivo che testimonia da solo il disordine tragico della politica italiana. Una controfigura del biancofiore Forlani alla guida di un partito come il Pd che dovrebbe essere, come minimo, se non un parrocchia di sinistra, almeno di centrosinistra. Un tempo c’era chi sosteneva, con orgoglio: “Non moriremo democristiani!”. Invece sarà proprio questa la nostra sorte. L’unico guaio è che i dicì dell’annata 2015 non sono certo una delizia per il nostro palato. Purtroppo non si vede all’orizzonte un nuovo Alcide De Gasperi. Questa è l’epoca delle imitazioni di quart’ordine. In fondo anche Guerini ha ben poco del vero Arnaldo. Il Forlani autentico non era mai minaccioso. Invece il braccio destro di Matteo le rare volte che parla in pubblico ha sempre un tono gelido-sbrigativo, capace di farti venire un po’ di freddo alla schiena. Anche il profilo è di marmo, ricorda quello dei gerarchi sovietici di seconda o terza fila, schierati sulla piazza del Cremlino per assistere alla sfilata del Primo maggio.
Ma veniamo alla sostanza dell’appello rivolto a Berlusconi affinché rientri nel letto del Ganassa. Lo scopo vero di Renzi è di ottenere dal Cavaliere l’aiuto decisivo per non andare sotto al Senato quando si arriverà alla votazione più delicata: la riforma costituzionale. Senza il soccorso di quanto resta di Forza Italia, il governo andrebbe a gambe all’aria, nonostante i Verdini di turno e quelli che gli somigliano. Una volta caduto il governo, si andrebbe subito a votare. È quanto sostengono i renzisti. A forza di accusare le opposizioni di essere gufi, rosiconi e “profeti di sventura” (come dice Ettore Rosato, il nuovo capogruppo alla Camera) hanno iniziato a comportarsi loro da uccelli del malaugurio. In realtà mentono sapendo di mentire. L’unico che può sciogliere le due Camere e mandarci al voto è il presidente della Repubblica. E non è detto che Sergio Mattarella sceglierebbe questa strada. Ma il Giglio magico agita comunque lo spauracchio. E lo fa a ragion veduta. A Palazzo Chigi tremano quando si parla di urne. Stanno immersi nei sondaggi. Per la goduria delle società demoscopiche, mai state così tante, una vera manna per loro. Il guaio di Renzi è che i responsi che sfornano sono sempre meno rosei per lui. Anche il Cavaliere ha un sacro terrore delle elezioni anticipate. Ma dovrebbe averne anche di ritornare a stringere con Renzi un nuovo Patto del Nazareno o come diavolo si chiamerà. Dal momento che la politica cammina sulle gambe degli esseri umani, il vantaggio di firmare una nuova alleanza sarà tutto del Ganassa fiorentino. Prima di tutto perché Matteo è un quarantenne che mostra di possedere un’energia inesauribile, sia pure usata soltanto per interminabili concioni. Mentre Silvio a settembre farà settantanove anni. E non aggiungo altro, perché so quanto pesino nella vita di tutti i giorni. È fatale che i suoi consiglieri più ascoltati, da Gianni Letta a Fedele Confalonieri, lo spingano a sottoscrivere una nuova alleanza con Renzi. Mentre Giuliano Ferrara pensa che un accordo tra i due sia scritto nelle stelle, loro si preoccupano della sorte delle aziende mediatiche, a cominciare dalle televisioni del Biscione. Un vecchio slogan delle tivù di Mediaset recitava: «Corri a casa in tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta». Ma da quel giorno sono passati troppi anni. Adesso ad aspettare Silvio c’è un pescecane in agguato. Per questo motivo il Bestiario avverte il Cavaliere di stare in guardia. Poiché Renzi ha un solo obiettivo: farne un gran boccone e fregarlo per sempre.