Tra le mie letture estive ho ripreso, per completare, la lettura e meditazione dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco, manifesto della Chiesa sull’annuncio del Vangelo al mondo attuale. L’evangelizzazione è il mandato affidato dal Signore ai discepoli prima di ascendere al cielo; è un dovere del battezzato, laico o consacrato che sia; è un dono per l’uomo sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno che possa dare senso alla propria vita. Ai numeri 169 e seguenti il Papa indica degli atteggiamenti fondamentali che devono avere la Chiesa e i cristiani chiamati ad evangelizzare, atteggiamenti che, per uno come me che legge tutto col metro della laicità, penso possono e devono diventare patrimonio di ogni uomo di buona volontà. Uno di questi è quello che il Pontefice chiama “l’arte dell’accompagnamento”, la capacità di farci prossimi di chi ci sta accanto. In un mondo ferito dall’anonimato, ma nello stesso tempo malato di una morbosa curiosità della vita degli altri; in una civiltà individualista, ma nello stesso tempo connessa ventiquattrore su ventiquattro, c’è bisogno di recuperare la virtù della prossimità, per farci vicino ad ogni uomo e contemplare la grandezza della sua dignità, commuoverci dinanzi alla sua fragilità, fermarci nella carità per provvedere al suo bisogno. Dobbiamo imparare a “toglirci i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (cfr. Es 3,5) e ad avere uno sguardo compassionevole che guarisca, liberi e incoraggi nella vita. Questa capacità può essere anche di chi non crede: se diventasse patrimonio comune allora il mondo si trasformerebbe e non ci sarebbero più situazioni di povertà materiali e spirituali, scomparirebbero ogni forma di solitudine e depressione, regnerebbero solo solidarietà, fratellanza e umanità in ogni realtà umana e cristiana. Non credo che tutto ciò sia utopia, ma piuttosto una bella e diversa prospettiva di vita.
Padre Salvatore Alì