Da poeta a giornalista, il ricordo di Claudio Angelini

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LUNEDARTE

Claudio Angelini

Claudio Angelini

«Carissimo Répaci, […] durante il corso della nostra lunghissima amicizia (ventitre anni) non vi ho mai raccomandato nessuno. Non vi raccomandai neanche la mia candidatura nel fatidico 1951. Per Angelini rompo volentieri questa tradizione: questa discrezione. E lo faccio perché sono persuaso (che è più di convinto) di trovarmi di fronte a un autentico poeta …» Con queste parole, nel 1967, Domenico Rea segnalava all’amico Leonida Répaci, presidente del Premio Viareggio, l’opera di un giovane scrittore e poeta di nome Claudio Angelini, classe 1943. Probabilmente Rea non immaginava che il giovane poeta sarebbe diventato uno dei volti storici del giornalismo televisivo italiano. Claudio Angelini si è spento qualche giorno fa a New York, dove viveva dal 1997. Aveva settantadue anni. Dopo i brillanti esordi come uomo di lettere, aveva trovato il successo come giornalista in Rai, dove aveva condotto il TG 1, di cui era anche vicedirettore. Non aveva dimenticato l’amore per le humanae litterae: presiedeva la Società Dante Alighieri di New York ed era stato direttore dell’Istituto Italiano di Cultura. Sul rapporto degli americani con la cultura del nostro paese diceva: «L’Italia e la sua lingua sono molto apprezzate. L’italiano è la lingua della cultura, in particolare la cultura della Toscana rinascimentale è molto amata». In tempi recenti, le sue corrispondenze avevano documentato la presidenza Obama alternando sentimenti di speranza a delusioni palpabili. Tra gli ultimi impegni del giornalista, l’organizzazione del Premio Capri 2015, la rassegna che aveva fondato trent’anni fa e che avrebbe aperto i battenti a settembre.

Dell’esperienza più importante della sua vita a New York, l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, aveva detto: «E’ stato catartico. Io sono arrivato in una città che mi sembrava molto presuntuosa, arrogante, con un consumismo portato alle estreme conseguenze, perfino ostentato. Ho letto che la democrazia, in fondo, può diventare anche nemica del consumismo, e il consumismo può essere un nemico della democrazia. Non so se tutto questo sia vero; certamente nella New York in cui sono arrivato nel 1997, c’era un senso di potere, di superiorità, di arroganza che adesso non c’è più. L’11 settembre ha mitigato il carattere dei newyorchesi, e ha suscitato una forza in più: quella della solidarietà».

Valerio Musumeci

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