Torino, Salone Internazionale del Libro. Centinaia di espositori, decine di migliaia di volumi, visitatori che quasi quasi manco Expo. E’ l’evento italiano per eccellenza per quanto riguarda i libri, vetrina insostituibile specie per i piccoli e medi editori. In programma eventi, letture, flash mob. E poi dibattiti, seminari, proiezioni. Tutto il meglio (?) della cultura italiana per quattro giorni si è riunito a Torino – il Salone si chiude oggi –, e i siciliani, naturalmente, non potevano mancare. C’è il Comune di Catania con uno stand il cui slogan è fedelmente “Catania ♥ il libro”, proprio con il cuore stampato. Cosa significhi, se “Catania ama il libro”, “Catania cuore il libro”, “Catania occhio all’arresto cardiaco il libro” lo sanno solo i fantastici pubblicitari che hanno progettato il tutto. Comunque sia, Catania c’è. Sollevati i visitatori tedeschi del Salone, che credevano di aver buttato i soldi del biglietto, come ad Expo. Ci sono anche i politici catanesi del ramo, seduti soddisfatti a leggere e ubriachi di cultura. La cultura ti sale peggio della birra a digiuno. In tutto ciò c’è un editore che si chiede quale sia la copertina migliore per un suo volume proprio su Expo. E qualche cosa la dobbiamo vendere, figli miei, coi proverbi di Palagonia qua non si cava un ragno dal buco.
Parliamo dunque di Expo, con riferimento alle sue contraddizioni e alla situazione alimentare globale. Con quale copertina? Un’illustrazione molto naif di bambino africano sotto rubinetto chiuso in attesa che cada una goccia d’acqua o fotografia a colori di villaggio sempre africano? Nel dubbio le hanno stampate entrambe, così il turista tedesco – che prima di visitare Expo si premurerà certo di leggere il libro dedicato all’argomento dall’editore siciliano – ha solo l’imbarazzo della scelta. Evidemente la decisione ha seguito la stampa dei poster pubblicitari, perché il volume è presentato in manifesto con una copertina ancora diversa dalle due, geometricamente costruita con Paint si presume dall’autrice medesima, e colorata di un bel giallo… cercavo di aggettivare il giallo, ma non ci riesco. Che tristezza l’approssimazione, l’inadeguatezza. Ma non di per sé, uno può essere approssimativo senza colpa, di natura. Che tristezza quando l’approssimazione si unisce alla puzza sotto il naso, all’essere radical chic, al leggere la realtà attraverso le lenti distorte dell’informazione mainstream, al credersi parte di un sistema che invece ti ha escluso da mò. Che tristezza l’editore regionale che pur di vendere qualche copia fa il marchettone stampando libri di cui non frega niente a nessuno, lontani anni luce dalla propria linea editoriale. Che tristezza le autrici che scattano quattrocento fotografie del Salone del Libro di cui trecentoventinove con la propria copertina in bella e casuale mostra. Che tristezza i vip che passano tra gli stand senza rendersi conto di come la loro presenza avveleni il sistema. Che tristezza il volume dedicato alla ‘nduja, con la seguente culturale postilla: “Nel prezzo è compreso mezzo chilo di ‘nduja”.
Valerio Musumeci