Accordo Italia-Svizzera? Just for show – di F. Marino

Sharing is caring!

soldi euro

di Franco Marino

Da quando Renzi è al potere assistiamo da una parte a qualcosa di simile ai bollettini fascisti, quando una voce con accento anni trenta annunciava con tono roboante i successi ottenuti dal Duce in questa o quell’impresa; e dall’altra i soliti sfascisti, quelli che se Renzi un giorno si gettasse nell’Arno e salvasse dieci bambini, cercherebbero di dimostrare che in realtà ha cercato di affogarli. Specie in fatto di fisco, si assiste ad una serie di roboanti annunci che alla fine si rivelano un just for show. Si parla, ad esempio, del famoso accordo Italia-Svizzera per il rientro dei capitali. E’ un accordo che funzionerà e che porterà dei vantaggi? La risposta è no.

Si parta da un presupposto: anche se i giustizialisti fanno di tutto per dimostrare il contrario, portare i propri capitali all’estero attualmente non costituisce reato. Una grande impresa che opera in tutto il mondo, può serenamente scegliere la Svizzera come sede fiscale, non commettendo alcun reato. Fatturando milioni se non miliardi di euro, può avere tutto l’interesse a stabilire la sua sede in posti dove di tasse se ne pagano di meno. Diventa reato, invece, se si esportano i capitali pur tuttavia mantenendo la propria sede operativa nella Madrepatria. L’ordinamento per l’occasione parla di “esterovestizione” ossia – come dice il vocabolo stesso – vestire di estero qualcosa che estero non è. Tradotto: il fruttivendolo che porta i suoi soldi all’estero, pur continuando a vendere le verdure al mercato qui in Italia, commette il reato di esterovestizione. Domanda: esistono fruttivendoli che portano capitali all’estero? Fatecelo sapere. Si dirà: ma ci sono tantissimi professionisti che portano i soldi all’estero, notai, avvocati, commercialisti, medici ed altro. Ma anche qui casca l’asino, nel senso che si spettegola molto ma non si prova mai nulla di concreto. Anche perché il fenomeno dell’evasione, proprio per il tipo di battaglia molto mediatica e moralistica e poco sostanziale tesa comunque a terrorizzare il contribuente, trova ampia complicità nella società civile. Le prefiche del moralismo fiscale, quando poi devono fare i conti della serva, dimenticano ciò che predicano in pubblico fino al paradosso di Gino Paoli.

Di conseguenza è assai difficile conoscere nel concreto chi evade cosa, e di certo un professionista – salvo che non fatturi cifre importanti – difficilmente si imbarca a portare i propri soldi all’estero ma si limita a non dichiarare tutti quelli che percepisce in Italia; viceversa non si spiegherebbe l’esigenza spasmodica dei cosiddetti studi di settore, ossia lo Stato che decide al posto tuo quanto guadagni, in base al lavoro che fai e al posto in cui stai, e su quello poi pretende che tu paghi le tasse. Una follia. Detto questo: torneranno i soldi in Italia? La risposta è no. Sarebbe sì se la Svizzera fosse l’unico paradiso fiscale del mondo. E poiché chi ha soldi da portare in un paradiso fiscale di solito ha anche i mezzi per portarli altrove, se occorre scappare questi soldi già sono in lista di sbarco verso altri paradisi fiscali dove l’Italia non potrà mai arrivare. Altro che Svizzera.

Quando poi si dice “Un colpo duro alle mafie”, si raggiunge il ridicolo. Che i soldi infatti siano legati alla malavita, questa è una cosa che si può sospettare finanche con qualche ragionevolezza. Ma la prova definitiva non c’è mai. Nessuno deposita i soldi nel conto con la causale “compenso per assassinio di capoclan rivale”, e soprattutto non c’è modo di stabilire con certezza se il denaro effettivamente prima risiedesse in qualche città italiana. Perché sì, sono criminali, ma non fessi. Oggi l’esportazione dei capitali si fa in modo estremamente raffinato tanto da renderlo incontrollabile, attraverso la figura dello “spallone”. Cosa fa lo spallone? Esempio: un tizio ha 1milione di euro da esportare in Svizzera. “Lo spallone”, tipicamente un locale, versa dalla stessa Svizzera la cifra richiesta su un conto cifrato. Il tizio in Italia elargisce la stessa cifra al suo corrispondente decurtato della provvigione. Di fatto non c’è passaggio di danaro fra Stato e Stato. Ditemi voi: come li becchereste in questo modo?

Inoltre, pensare che la criminalità firmi i suoi affari col proprio nome e cognome è una follia: ed è anche la ragione per cui non di rado, quando un grande criminale viene arrestato, risulta essere un operaio o un contadino (si pensi a Totò Riina), magari con un pezzetto di terra ma con al suo servizio una marea di prestanomi. Bisogna fondamentalmente capire una cosa: chi decide di portare i soldi all’estero, sta anche organizzando una fuga fisica. E tutto ciò che può produrre una lotta selvaggia all’evasione fiscale,  che veda il contributo della Svizzera o meno, è soltanto un incentivo a continuare a scappare. E quando (con grande umorismo involontario), si dice col cipiglio tipico di chi crede di aver riportato chissà quale successo, che gli accordi riguarderanno soprattutto i cittadini “frontalieri” (cioè quelli che vivono vicino al confine), non ci si rende conto che: 1) Si va a colpire gente che, pur portando i soldi magari in Svizzera, comunque qualcosa in Italia la spendono. 2) Si va a colpire proprio coloro che, stando vicino al confine, non ci mettono nulla a trasferirsi oltre l’Italia, impiegando solo qualche decina di chilometri e salutando per sempre l’Italia. E soprattutto, per concludere, ci si dimentica una cosa: chi ci garantisce sul fatto che la Svizzera collaborerà davvero? La Svizzera può benissimo dichiarare il falso, e dinanzi alle richieste italiane sui fondi depositati da Pinco Pallo, rispondere “Error: file not found”. Cosa si fa a quel punto? Si mandano i finanzieri in Svizzera? Invadiamo il Canton Ticino? Chi ci garantisce, quindi, che la Svizzera collabori davvero e non si limiti a fingere di collaborare, svelando solo pesci piccoli? Basicamente, quello che si dimentica è che gli accordi hanno un senso solo se ci sono ragioni per stimare la correttezza della controparte. Che credibilità può avere la collaborazione della Svizzera quando per decenni gli elvetici si sono arricchiti proprio incentivando coloro che li usavano come piazzaforte per depositare i propri soldi sporchi?

Tanto più che la Svizzera non fa parte dell’Unione Europea, può tranquillamente infischiarsene delle normative UE, ed è quindi come se un tale avesse una moglie che arrotonda come escort e usasse il suo vicino di casa per depositare i suoi soldi da lui all’insaputa del marito, dandogli una percentuale. Possiamo mai pensare che il vicino accetti di spifferare tutto al marito cornuto, andandoci a perdere in prima persona? Dov’è la logica? Alla fine la soluzione più razionale era quella che si adottò con Berlusconi: un grosso scudo fiscale, una tiratina d’orecchie e alla fine i soldi si riportavano a casa. Sarà stato anche un modo forse eticamente discutibile, ma almeno si provava a dialogare con coloro che erano scappati. Magari cercando di capire che molti portano i propri soldi via perché sono stufi di uno Stato che chiede troppo e dà, ogni anno, sempre meno in cambio e con l’aria sussiegosa di chi crede di farti chissà quale favore nel farti stare in Italia e con in mano una pistola pronta ad impallinarti. C’è un proverbio inglese che si adatterebbe benissimo a questa situazione: puoi portare i cavalli all’abbeveratoio, ma non puoi obbligarli a bere. Piccole perle di saggezza che hanno fatto uomini, aziende e Stati per i quali il benessere è realtà.

marino@freedom24news.eu

Leave a Reply

Submit Comment
*