La decisione è stata presa dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di fine gennaio, ma era nell’aria già da settimane. L’Eni ha ritirato tutto il personale italiano dalla Libia per motivi di sicurezza e lo stesso hanno fatto le altre aziende che continuano a operare nello Stato africano, affidandosi però a dipendenti locali e addetti alla vigilanza stranieri.
Tra i possibili obiettivi dei terroristi dell’Isis gli impianti petroliferi ed energetici sono inseriti in cima alla lista, dunque la scelta di alleggerire le presenze rientra in una strategia che mira a ridurre al minimo il rischio nella consapevolezza che riuscire a uccidere gli italiani, sia pur all’estero, sarebbe comunque una vittoria dei fondamentalisti. Soprattutto nel pieno di una campagna mediatica scatenata dai jihadisti che continua a salire di livello e punta a Roma come bersaglio costante.
La difesa aerea
Quale sia il clima lo si è ben compreso qualche giorno fa, quando il sistema di difesa aerea è entrato in stato di massima allerta per un avviso trasmesso dai servizi segreti. La segnalazione parlava di alcuni aerei pronti a decollare da Sirte per colpire il nostro Paese. Non c’è stato alcun riscontro, ma la tensione rimane altissima perché forte continua ad essere il rischio di un attentato compiuto da «lupi solitari» proprio come già accaduto a Parigi e poi a Copenaghen. È questa la vera preoccupazione dei responsabili della sicurezza e lo conferma il sottosegretario alla presidenza con delega ai Servizi, Marco Minniti, quando parla di «massima imprevedibilità della minaccia che per questo non ha precedenti e tiene insieme la capacità simmetrica e asimmetrica in quanto può fare sia campagne militari sia terroristiche», rilancia la necessità di «avere una raccolta dati capillare» e insiste sull’urgenza di introdurre a livello europeo il Pnr, il codice passeggeri che fornisce notizie su tutti i voli incrociando informazioni preziose sui «sospetti», perché «non va sospeso Schengen, ma è indispensabile il controllo di chi si sposta verso i teatri di guerra» e talvolta decide poi di tornare indietro.
Il flusso dei migranti
Nessuna attendibilità viene data dagli analisti alla notizia rilanciata dal quotidiano britannico Daily Telegraph che pubblica documenti compilati da Abu Arhim al Libim, ritenuto uno dei leader dell’Isis secondo il quale «grazie alla vicinanza della Libia con gli Stati crociati» i jihadisti potrebbero «utilizzare e sfruttare in modo strategico i tanti barconi di immigrati per colpire le compagnie marittime e le navi dei Crociati».
Gli esperti ritengono che si tratti di pura propaganda, escludono che i terroristi possano confondersi tra i disperati che tentano di raggiungere l’Europa, mentre continuano ad avvalorare l’ipotesi che i fondamentalisti utilizzino i flussi proprio per mettere in ginocchio l’Europa anche provocando divisioni tra gli Stati della Ue che devono gestire l’emergenza. Nelle ultime ore c’è stata una riduzione degli sbarchi, ma nessuno si fa illusioni sulla possibilità che questa situazione possa durare più di un paio di giorni.
Militari e scorte
Di fronte alla possibilità che l’azione diplomatica per trovare una situazione alla crisi libica vada avanti per settimane, sembra indispensabile prevedere un dispositivo di protezione più snello, soprattutto non concentrato soltanto su quelli che sono i bersagli più prevedibili. E dunque si è deciso di dislocare le camionette dei militari anche in luoghi apparentemente più defilati non escludendo che possano essere ritenuti più facili da attaccare. E questo naturalmente costringe a rivedere l’elenco delle personalità scortate, tenendo conto delle carenze in organico delle forze dell’ordine, come denunciano da mesi i sindacati di polizia come Sap e Silp Cgil che chiedono l’assunzione di almeno mille agenti. Ma anche a rimodulare i piani di intervento sul territorio con la vigilanza dinamica molto più frequente soprattutto nei centri storici delle città.
Corrieredellasera