di Giovanni Sallusti
Non sono uguali, questa narrazione livellatrice e plebea da stasera davvero non ha più senso, Stefano Parisi e Beppe Sala possono aver condiviso frammenti professionali, ma sono due animali politici, e comunicativi, di due specie parecchio differenti. Ad essere precisi, Parisi è un animale comunicativo, Sala no, e il confronto di ieri sera su Sky lo ha palesato con certezza inequivocabile. Non è solo questione d’empatia, dote che in ogni caso come ha scritto la nostra Federica Venni ha la sua rilevanza, ma di apertura al mondo. Parisi ha un battutismo sornione, quasi casuale, fa scivolare nel discorso osservazioni come “era così con la Moratti, di cui lui è stato direttore generale” che sono altrettanti macigni politici. Sala è un ottimo ripetitore di lezioncine, s’inceppa appena arriva una domanda imprevista o addirittura un cambio d’umore dello studio, non è riuscito a dismettere l’arroganza apodittica del manager, ed è un problema, anzitutto per certi mondi della sinistra milanese già sommamente scettici. In generale, Beppe subisce il gioco, Stefano lo conduce, come quando fa notare serafico, sempre tramite inciso, che ha ancora qualche secondo, perché è stato interrotto dal conduttore.
Poi, certo, c’è la politica, quella seria, non diremmo mai nobile (è esattamente l’aggettivo altisonante e vuoto che userebbe Sala), al contrario quella che cammina su contenuti realistici nella realtà data, per realisticamente migliorarla. Ed è qui, che Parisi marca il distacco, segna la differenza. In ordine sparso, per dipingere quella che via via è apparsa come un’agenda strutturata e sufficientemente elastica, rispetto all’autopromozione expottimista del rivale. “Non bloccheremo mai il traffico”, è scientificamente inutile ai fini dell’inquinamento, è solo ideologicamente utile al serbatoio di voti antisviluppista di Majorino (Sala livido). “Il Leocanvallo? Con me non esisterà, bisogna ripristinare il diritto di proprietà”. Altro che moderato, questa è pura, e benedetta, intransigenza liberale. “Non esiste un diritto ad avere figli, esiste un diritto dei bambini ad avere i genitori”, ed è ribaltamento ben più sottile di quel che sembra, diremmo giusnaturalsitico, della vulgata gender correct che trasforma capricci in diritti: i secondi sono roba seria, vanno definiti bene e non inflazionati a caso. Per descrivere la differenza in tema di gestione del fenomeno migratorio e di sicurezza: “Il presidente del Consiglio che ha scelto Sala dice che l’immigrazione non è un’emergenza. La differenza è tutta qui”. Pochi secondi che smontano il minuto e mezzo dell’altro.
Ci sono i botti finali, poi, le domande dei sostenitori avversari, le cartucce migliori dell’intervistatore, l’appello agli elettori. La supporter di Sala chiede conto a Parisi di “una vergogna”, il fatto che coi risultati di domenica per lo schieramento di centrodestra entrerebbero in Consiglio assai più uomini che donne, in spregio al dogma del femminismo talebano che vuole il rapporto di 1 a 1. Risposta, forse la migliore di tutta la serata: “Non so se ha mai sentito parlare di una cosa che si chiama de-mo-cra-zia”, con parola scandita per chiarezza definitiva del telespettatore. “Noi rispettiamo il voto dei cittadini e porteremo in Consiglio le persone in base al merito, che in democrazia è il consenso raccolto. Non perché donne o uomini”. Gioco, partita, incontro, l’individuo e il suo valore contro quell’illiberale mortificazione dell’individuo donna che è la quota rosa, toni da leader politico, prima ancora che da sindaco. Sala gli rinfaccia di essere stato scelto ad Arcore (che quantomeno è luogo più gradevole di Rignano sull’Arno), il giornalista intravede l’affondo giusto, e gli chiede con fare professorale e insinuante: “Ma è vero che Berlusconi entrerà nella sua azienda, Chili Tv, e che lei ha accettato la candidatura per questo?”. Sorriso largo, consapevolezza delle regole del gioco, risposta fulminante: “Magari!”. Magari la mia azienda avesse interessato un grande capitano d’impresa come Berlusconi, voi alludevate, io vi faccio una lezione in chiaro di mercato. Si chiama rovesciamento della tesi, disvela la pochezza dell’interlocutore tramite il buonumore, e mostra Parisi infinitamente più empatico e autoconsapevole dell’uomo che continua a sentenziare “io so fare”, abilità che a furia di non essere dettagliata evapora nell’onanismo. Aveva paura, Sala, era troppo concentrato a convincersi, e convincerci, di non averne, e involontariamente ha contribuito a mostrare cos’ha invece Parisi. Berlusconianamente, il quid. L’Intraprendente