Parafrasando Enrico Cuccia, si può dire che nelle analisi politiche post elettorali “i voti si pesano, non si contano”. Solo in questo modo si può spiegare perché il 40 per cento e passa del democratico Piero Fassino a Torino sia una battuta d’arresto, mentre il 35 per cento della grillina Virginia Raggi a Roma sia un trionfo. E solo utilizzando il metodo Cuccia si può affermare, come fa il blog di Beppe Grillo, che queste elezioni sono “un risultato storico”. Se per analizzare il voto si usa invece il metodo Casaleggio, quello secondo cui “uno vale uno”, ci si rende conto che le cose stanno in maniera diversa: il Movimento 5 stelle è in gran parte assente dal territorio e non sfonda dove si presenta. A parte lo scenario post apocalittico di Roma, dove la Raggi emerge per la scomparsa delle forze politiche tradizionali che pagano esperienze amministrative fallimentari, e l’ottimo risultato di Torino, dove invece Chiara Appendino riesce a fronteggiare una candidatura forte, il M5s non va al ballottaggio in nessun altro capoluogo di regione: a Napoli è al 9 per cento, molto lontano dal 25 per cento preso in città alle scorse regionali; a Milano è inchiodato al 10 per cento, stesso risultato delle regionali del 2013; a Bologna, la città del primo V-day, non è riuscito a superare il centrodestra per presentarsi al secondo turno come alternativa a Virginio Merola; a Cagliari e Trieste è sempre terzo, molto distante dai due poli tradizionali.
Nei 18 capoluoghi di provincia, i grillini andranno al ballottaggio solo a Carbonia. In tutti gli altri confronti saranno generalmente centrodestra e centrosinistra a contendersi la vittoria. In importanti città come Caserta, Latina, Ravenna, Rimini e Salerno, il Movimento di Grillo non è riuscito neppure a presentare una lista, quindi non ci sarà neppure un consigliere comunale. Negli oltre 120 comuni superiori ai 15 mila abitanti, quelli in cui è previsto il doppio turno, i grillini andranno al ballottaggio appena in 17 città, tutte le altre o sono state già assegnate al primo turno (ad altri partiti) o al secondo sarà una storia tra centrodestra e centrosinistra.
Niente vittorie né ballottaggi per il M5s in Abruzzo, Calabria, Campania, Toscana e Umbria, uno solo in Basilicata, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Veneto e Sardegna e due in Puglia. Qualche chance maggiore in Lazio, Piemonte e Sicilia, dove il Movimento se la giocherà al secondo turno in qualche città in più. Su tutti i restanti comuni sotto i 15 mila abitanti, in cui vince la lista che prende più voti nell’unica tornata prevista, i grillini hanno eletto appena quattro sindaci, a Fossombrone nelle Marche, a Vigonovo in Veneto, a Grammichele in Sicilia e a Dorgali in Sardegna. A ciò bisogna aggiungere che il M5s era completamente assente nella stragrande maggioranza dei comuni in cui ieri si è votato, perché è riuscito a presentare le proprie liste solo in 252 comuni su 1.342, circa uno su cinque. Naturalmente nessun partito riesce a concorrere con una propria lista in ogni comune, ma tutti consentono ai propri iscritti e tesserati di candidarsi in altre liste civiche, cosa invece proibita ai grillini. Ciò vuol dire che in queste elezioni non c’è stato un candidato del M5s nell’80 per cento dei comuni e, come abbiamo visto, anche in grandi città come Rimini e Salerno. Sulle decine e decine di migliaia di consiglieri comunali neoeletti, quelli del movimento sono circa 150.
In totale, su 1.342 comuni chiamati a eleggere il sindaco e rinnovare il consiglio comunale, il M5s non ha eletto neppure un consigliere in circa 1.200 comuni (un dato, l’assenza di consiglieri pentastellati, che a livello nazionale riguarda l’85 per cento dei comuni), ha vinto in quattro piccoli centri, andrà al ballottaggio in 17 medie cittadine e in tre capoluoghi su 25 (in uno solo di questi è davanti allo sfidante). Certo, il vantaggio a Roma è significativo e la conquista della capitale ha un valore simbolico che va oltre la conta dei voti e dei sindaci ottenuti, ma se si considera il quadro delle amministrative nel suo insieme è difficile sostenere che questo sia “un risultato storico”, soprattutto perché di gran lunga inferiore a quello ottenuto dagli altri due principali schieramenti. Viene piuttosto confermato, anche in queste elezioni, il trend elettorale degli ultimi anni che assegna al M5s una manciata di comuni in ogni tornata amministrativa e il ruolo stabile di terza forza politica del paese. Il Foglio