Intervista a Berlusconi: “Matteo Renzi fa propaganda raccontando bugie”

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di Pietro Senaldi

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Forza Italia pochi anni fa era al 37%, ora è sopra il 10%: di chi è la responsabilità e quali sono le cause, come si sente lei che è il leader oggi, quali obiettivi si prefigge?
«Ci sono già stati dei momenti nei quali non Forza Italia, ma addirittura il PDL, è stato dato dai sondaggi poco sopra il 10%, all’ epoca della segreteria Alfano. Poi quando sono tornato ad occuparmene direttamente, con ventitré giorni di campagna elettorale, i risultati delle elezioni 2013 hanno raddoppiato questa percentuale. Ma non è questo il tema vero. C’ è stata un’ emorragia di consensi dovuta a diverse cause. Le principali sono due: la delusione degli elettori, che hanno visto ribaltato ancora una volta il risultato elettorale – è stato il quarto “colpo di stato” indolore dal 1994 ad oggi – e il fatto che un’ ignobile persecuzione giudiziaria ha tolto a Forza Italia il suo leader da parecchio tempo. Ho ripreso soltanto da poche settimane ad essere presente sui mezzi di comunicazione, che d’ altra parte sono tutti – salvo eccezioni sempre più scarse – schierati contro di noi. Tuttavia non sono affatto pessimista. Gli elettori che ci hanno lasciato non hanno cambiato idea. Solo una parte di loro si è rifugiata in un voto di protesta legittimo, ma sterile. Gli altri hanno scelto di disertare le urne. A loro ci rivolgiamo, con persone nuove, idee nuove, i valori di sempre, la dignità della coerenza, spiegando loro che stare a casa e non votare significa proprio favorire tutto quello che vorrebbero combattere: l’ immobilismo, la corruzione, l’ oppressione fiscale, l’ oppressione burocratica, l’ oppressione giudiziaria».

I sondaggi danno il centrodestra primo partito in potenza: cosa vi manca per tornare a esserlo anche nelle urne?
«Chi le dice che non lo saremo anche alle urne? Basta che ci lascino votare. Domenica prossima il centrodestra sarà la prima coalizione in molte città italiane. E lo sarà a livello nazionale quando finalmente agli italiani sarà concesso di far sentire la propria voce attraverso il voto».

La Meloni a Roma ha sbagliato, ma non valeva la pena perdonarla, sostenerla e conquistare la Capitale? Perché ha preferito tenere duro?
«Posto così sembra un dispetto personale. Non lo è affatto. A Roma ci sono in gioco due questioni. Quella principale è offrire un buon sindaco ai romani, capace di risolvere i problemi drammatici della città. Io credo che un politico di professione non sia la persona giusta per questo. Occorre, a Roma come nelle altre città, a Milano, a Napoli, una persona che sappia gestire un’ organizzazione complessa come quella di una grande amministrazione, che abbia esperienze manageriali, che nella vita abbia dimostrato con i fatti cos’ è capace di realizzare. È questa la strada per dare alla gente risposte serie, non le parole di un politico che conosce solo l’ arte degli slogan e della propaganda. La seconda ragione – meno importante ma comunque rilevante – è che in una coalizione si lavora bene insieme se tutti rispettano i patti. È una regola base di qualsiasi convivenza. E per me in politica valgono le stesse regole di correttezza che valgono per le persone nella vita di ogni giorno».

La Lega può essere il perno del centrodestra se prende più voti di Forza Italia? Come pensa di poter tenere uniti a sé la Meloni e Salvini, che la accusano di inciuciare con Renzi?
«Sono abituato a distinguere la propaganda elettorale dai fatti concreti, forse perché io di propaganda fine a se stessa non ne faccio. Con la Lega e la Destra abbiamo governato insieme per 9 anni, siamo stati alleati all’ opposizione per almeno altrettanti e governiamo tre importanti Regioni. Non vedo perché non dovremmo continuare a stare insieme. Quanto al perno dell’ alleanza, osservo solo una cosa: non esiste in nessuna parte del mondo una destra che con le sue sole forze riesca a governare un grande Paese. Anche in Austria ci sono andati vicini ma hanno perso. In tutte le democrazie, o prevale un centrodestra moderato, o prevale la sinistra. Le posizioni della Lega sono legittime, danno voce a ragioni molto serie e paure molto comprensibili, ma se quelle fossero le uniche posizioni del centro-destra, Renzi avrebbe assicurata la poltrona di Palazzo Chigi per i prossimi vent’ anni».

Quanto hanno pesato le sue vicissitudini giudiziarie nella evaporazione del consenso popolare di cui godeva il suo partito? E quanto l’ hanno danneggiata personalmente come leader?
«La persecuzione giudiziaria (73 processi) a cui sono stato sottoposto ha sicuramente pesato. Non perché la gente abbia creduto alle calunnie sul mio conto – ci hanno creduto solo quelli che comunque mi sono ostili a priori e che sono stati ben felici di trovare una ragione in più per la loro ostilità – ma perché hanno diffuso la sensazione che qualsiasi tentativo di cambiare le cose sia destinato a naufragare, ad essere bloccato da poteri più forti, ad essere sommerso dalla macchina del fango. Questo, insieme al mio disimpegno forzato, ha sconcertato e scoraggiato molti elettori.

All’ inizio della sua esperienza politica, lei puntava sulla Rivoluzione liberale. Perché non è riuscito a realizzarla completamente? Non sono stati aboliti gli ordini professionali né il valore legale dei titoli di studio. Non è stato ridotto il mastodonte burocratico né le spese della Pubblica Amministrazione…
«Se lei intende dire che abbiamo cambiato la cultura politica e civile del nostro Paese, questo lo abbiamo fatto, e in modo duraturo. Prima di noi non esisteva il bipolarismo, non esisteva l’ idea di un centrodestra di governo, le idee e i valori liberali, in termini economici ma anche di giustizia, erano in un angolo. Ora tutti, almeno a parole, sono costretti a farsene carico. Si è detto molte volte, sbagliando, che Renzi potrebbe essere un mio erede politico. Non è affatto vero, perché abbiamo una visione opposta della politica e anche dell’ etica pubblica. Però una cosa è vera. Senza di noi non sarebbe potuto esistere neppure Renzi. Il renzismo è il tentativo della sinistra di nascondere la sua vera anima, di metterla da parte, nella consapevolezza che contro di noi non avrebbe mai vinto. Tutti i risultati elettorali, fino a quello del 2013, lo dimostrano. Quanto alle cose fatte, la risposta è semplice. Neppure io sono soddisfatto. E mi riconosco un solo imperdonabile errore: non essere riuscito a convincere gli italiani a darmi il 50%+1 dei voti. Così ho dovuto fare i conti con alleati che si sono fatti un vanto di avermi impedito di governare».

Pensioni: lei fu l’ ultimo ad aumentarle, cosa pensa dei tagli di Boeri e delle riforme attuali? Non era possibile riformare l’ Inps che spende i soldi dei lavoratori e degli imprenditori in mille attività tranne che per pagare le pensioni in misura proporzionale ai contributi versati?
«Il livello delle pensioni più basse è il vero scandalo italiano. I pensionati, ancora prima degli immigrati, sono il dramma sociale di questo Paese. Persone che hanno trascorso la loro vita lavorando duramente si trovano a faticare per sopravvivere quando non hanno figli o nipoti in grado di prendersene carico. È una vergogna nazionale. Anni fa il mio governo aumentò le pensioni più basse fino a un milione di lire. Oggi si dovrebbe portarle almeno a mille euro. Quando torneremo al governo, sarà il primo dei nostri provvedimenti. In generale, colpire i pensionati, cioè una categoria debole per definizione, che non ha strumenti contrattuali nei confronti dello Stato, è fin troppo facile. Io credo che il sistema pensionistico andrebbe ripensato da zero, cominciando ad abolire il monopolio dell’ Inps, che nonostante le promesse di Boeri rimane un costosissimo carrozzone».

Perché è rimasto in politica nonostante tutti i guai e potendo fare tranquillamente altro?
«Crede che non ci abbia mai pensato? Il fatto è che sono stato cresciuto in una famiglia che mi ha insegnato certi valori. Quando dovevo decidere, a fine 1993, se scendere in campo, una delle persone che mi sconsigliavano di farlo era mia madre. Ma dopo una cena ad Arcore nella quale si era discusso di questa cosa, mia madre, che era già ripartita per casa sua a Milano, disse al mio autista che la accompagnava di riportarla indietro. Entrò nella mia camera – ero a letto ma sveglio – si sedette ai piedi del letto e mi disse “Tu sai che io sono contraria al tuo ingresso in politica. Ma se tu senti nella tua coscienza il dovere di farlo, allora non saresti il figlio che io e tuo padre abbiamo creduto di educare se sentendo così forte il dovere di farlo non trovassi anche il coraggio di farlo”. Queste parole di mia madre le ho scolpite nel cuore. Ogni volta che sono tentato di mollare tutto, le riascolto e vado avanti».

Lei e il suo centrodestra avete approvato in Parlamento le riforme Costituzionali. Poi avete fatto macchina indietro e adesso votate no al referendum. Come spiega questo cambiamento?
«Il suo giornale ha avversato in ogni modo le riforme, poi ha fatto macchina indietro e adesso fa propaganda per il sì al referendum. Come spiega questo cambiamento? Battute a parte, credo che ormai la vicenda sia arcinota. Noi abbiamo creduto in buona fede che fosse possibile cambiare la Costituzione in modo condiviso, anche con un governo molto lontano da noi per idee, valori e programmi. Le regole dovrebbero essere condivise da tutti come fecero De Gasperi e Togliatti nel 1947, pur essendo politicamente nemici fierissimi. All’ inizio abbiamo accettato alcune cose che non ci piacevano, consapevoli del fatto che per arrivare ad un accordo era necessario trovare dei compromessi. Abbiamo fatto un passo indietro quando abbiamo capito che Renzi non lavorava per il bene pubblico, voleva soltanto cucirsi un abito su misura, per consentirsi, grazie alla riforma costituzionale e alla nuova legge elettorale, di governare l’ Italia anche con il voto di soltanto un italiano su sei, e con quel livello di consenso conquistarsi tutte le massime cariche di garanzia, dal Presidente della Repubblica ai Giudici Costituzionali. Renzi per farsi propaganda dice cose non vere. La nuova Costituzione riduce di poco il numero dei parlamentari, e di quasi nulla le spese. In compenso riduce di molto la democrazia. Una riforma ci vuole, io l’ ho affermato più volte in Parlamento. Nel 2005 avevamo realizzato una riforma vera, che la sinistra ha bocciato mettendo in pratica, come sempre, la sua politica del tanto peggio tanto meglio. L’ idea che qualsiasi riforma debba essere votata solo perché è una riforma, è contro la logica e il buonsenso».

Qual è il suo sentimento oggi nei confronti dell’ Europa? E cosa pensa dell’ euro e della Brexit?
«L’ Europa è sempre stata il mio ideale, questa Europa non lo è affatto. Io credo che si debba essere seri: fuori dall’ Europa per l’ Italia vi sarebbe l’ irrilevanza politica ed economica. Mi citi un solo imprenditore che vorrebbe veder tornare i controlli alle frontiere e le tariffe doganali fra gli stati europei. Detto questo, bisogna aggiungere che quest’ Europa di burocrati è lontanissima dal sogno di De Gasperi e di Adenauer, che è priva di un’ anima e di valori di riferimento. È minuziosa nell’ imporre regole ottuse e nemica di una politica estera e di difesa comune. L’ euro è stato una scelta discutibile e realizzata nel peggiore dei modi, ma oggi esiste. Si deve immaginare di usarlo meglio, con una politica monetaria che favorisca lo sviluppo delle economie deboli. La Bce dovrebbe essere dotata di diversi e maggiori poteri, compresa la possibilità di stampare moneta e garantire il debito sovrano degli Stati. Io credo che le tendenze antieuropee emerse in molti Stati vadano prese sul serio. Evidenziano uno stato d’ animo diffuso fra i cittadini europei. La Brexit è un evento che io temo assolutamente, ma che è certamente nel novero delle cose possibili. Non si può costruire un’ Europa veramente democratica senza, ed anzi contro, i suoi popoli. Condannare alla leggera queste spinte antieuropee non ha senso, bisogna comprenderne le ragioni e dare delle risposte ai giusti problemi che pongono. Risposte che non cancellino l’ Europa, ma che le diano un senso».

Per gli italiani l’ immigrazione è il problema numero uno: che soluzioni ha?
«È un tema estremamente difficile. La retorica dell’ accoglienza, purtroppo molto diffusa, ha prodotto e sta producendo guasti gravissimi, ai danni degli italiani più deboli ma anche degli stessi migranti. Fa soltanto il gioco degli scafisti, veri mercanti senza scrupoli di carne umana. Quello che non si capisce in alcuni salotti dei quartieri alti, ancora non colpiti dal fenomeno, è che fra la gente, nelle periferie, stanno esplodendo situazioni gravissime, dalle quali potrebbero derivare, come in altri paesi, situazioni di violenza e di razzismo. Al tempo stesso, è del tutto illusorio pensare di fermare con i muri e il filo spinato un fenomeno epocale, un esodo biblico. Ripugna alle nostre coscienze morali usare la forza contro gente disperata e indifesa, e comunque non avrebbe effetti pratici. Il problema si affronta in un solo modo, come avevamo fatto noi fino al 2010, quando avevamo azzerato gli sbarchi bloccando il fenomeno alla radice, mediante accordi con la Libia e gli altri stati rivieraschi del Nord Africa. Poi scelte dissennate dell’ Europa, con l’ appoggio della sinistra nel nostro Paese, hanno distrutto tutto, sostenendo anche militarmente le cosiddette “primavere arabe” che hanno portato il caos e l’ estremismo islamico fino a poche miglia dalle nostre coste. Oggi quello che è necessario è una grande azione non solo dell’ Italia, che da sola potrebbe fare ben poco, ma dell’ Europa, insieme agli Stati Uniti, alla Federazione Russa, alla Cina e ad alcuni paesi arabi, per bloccare alla sorgente le cause dell’ emigrazione. Questo significa intervenire per porre fine davvero alle guerre e alle minacce islamiste che provocano la fuga da alcuni paesi, e porre le condizioni perché coloro che invece emigrano per motivi economici abbiano sempre meno motivi per farlo. Questo naturalmente richiede di cambiare radicalmente la politica di cooperazione e sviluppo con i Paesi più poveri. Quella attuale ha lasciato incancrenire i problemi, ha generato corruzione, ha favorito una situazione di dipendenza dagli aiuti, ha impedito lo sviluppo di quelle economie. Vi siete mai chiesti perché molti paesi dell’ Asia, un tempo considerati “in via di sviluppo”, oggi sono le “tigri asiatiche” e crescono molto più velocemente di noi, mentre questo in Africa non è mai avvenuto? Non sarà colpa della nostra logica insieme assistenziale e protezionista?».

E per la ripresa dell’ economia?
«È il grande problema di questi anni. Posso ricordare che fino a quando siamo stati al governo noi, l’ ultimo governo scelto dagli italiani, gli indicatori economici erano molto migliori di oggi, nonostante la peggiore crisi economica che l’ occidente ricordi nel dopoguerra? La disoccupazione, per esempio, era di due punti percentuali sotto la media europea. Oggi non soltanto rimane ben al di sopra, ma i più recenti dati dell’ INPS sui nuovi occupati sono disastrosi. Neppure l’ iniezione di “doping” al mercato del lavoro, costituita dal Jobs Act – costosissimo per i conti pubblici -, ha portato risultati apprezzabili. Lo stesso si può dire dei dati più recenti, molto negativi, sulla produzione industriale. Come può crescere l’ occupazione se le aziende non crescono? La ricetta è una sola: un radicale ripensamento della politica fiscale, limitandone la progressività esasperata che annulla ogni propensione ad investire, a produrre lavoro e ricchezza. La flat tax, l’ imposta piatta, uguale per tutti al di sopra di una certa soglia di esenzione, tutela i più deboli, incoraggia la crescita, rende difficili l’ evasione e l’ elusione, riduce la pressione fiscale complessiva.
Questo innesca l’ equazione liberale della crescita: meno tasse significano più denaro alle famiglie e alle imprese, quindi più consumi e più investimenti, che creano più posti di lavoro, e quindi nuovi consumatori in grado di spendere e così via, in un circolo virtuoso che fra l’ altro riduce di molto le necessità di spesa sociale e che, allargando il numero delle persone che guadagnano, alla fine aumenta il gettito fiscale, pur pesando meno su ogni singolo contribuente. Non è un’ ipotesi teorica, è quanto sta effettivamente accadendo in 58 Stati con economie a più rapido sviluppo, in Asia e anche nell’ Est europeo».

Che ne sarà del suo Milan, che è stata anche un’ arma elettorale: dicono che sulla vendita lei sia combattuto e cambi continuamente idea…
«Io sono il primo tifoso del Milan, e quindi – prima di ogni altra cosa – voglio essere certo che il futuro della squadra sia all’ altezza della sua storia e delle aspettative di ogni tifoso. Vendere mi dispiace, è ovvio, ma devo essere realista: dopo l’ entrata nel mondo del calcio dei soldi del petrolio, i costi sono lievitati in una maniera impossibile e anche irrispettosa verso il disagio di tante persone, visto che si tratta comunque di un gioco. Sono costi tali che una famiglia, anche con una solida situazione di imprese alle spalle, non è più in grado di affrontare. Quindi intendo consegnare il Milan, che mi ha dato così tante soddisfazioni, nelle mani di qualcuno – non sarà una persona fisica, ma un gruppo di imprenditori e di operatori finanziari – che abbia le risorse e la voglia di investire necessarie a riportare il Milan ad essere protagonista in Italia, in Europa e nel mondo. Voglio verificare molto bene questi impegni da parte di possibili acquirenti, e quindi procedo con prudenza nelle relative negoziazioni. Rimango in ogni caso disponibile a continuare ad occuparmi del Milan nei modi che mi venissero richiesti dalla eventuale nuova proprietà.
Se poi non riusciremo ad individuare un acquirente con le giuste caratteristiche, allora proveremo ad andare avanti con le nostre forze. In quel caso, sarà un Milan molto giovane e tutto italiano, che darà inizio ad un nuovo ciclo». LiberoQuotidiano