E alla fine la conferma arrivò. Prince Rogers Nelson – la star della musica scomparsa qualche settimana fa all’età di cinquantasette anni – sarebbe morto in seguito ad una overdose da oppiacei. Il condizionale è ancora d’obbligo perché lo rivelano “fonti vicine agli investigatori”, ma in questi casi non c’è da andare troppo per il sottile e la verità – la triste verità, risaputa già da tutti – è consegnata alle legioni di fan che sin dal primo momento non avevano creduto ad una fine diversa per il loro beniamino.
A onor del vero non si sarebbe trattato della consueta tossicodipendenza che ha portato all’altro mondo alcune tra le voci migliori di sempre – freddate dall’ago di una pera di troppo mentre credevano di camminare sulla via della pace: Prince sarebbe stato soggetto a una cura farmacologica per un disturbo all’anca (per il quale si era operato nel 2010) e avrebbe sviluppato una dipendenza dal principio attivo del farmaco. Non è la prima volta che la cura si rivela ben peggiore del male, e sulla ratio di alcuni medicinali si potrebbe ampiamente discutere. Ma oggi ci limitiamo a prendere atto delle ragioni di una scomparsa che più di altre ha lasciato turbato il pubblico, inattesa e straziante proprio come certe canzoni dello scomparso medesimo.
«Secondo il Minneapolis Star Tribune – riporta La Repubblica – prima di morire, il 21 aprile scorso, Prince cercò l’aiuto di un medico per curare la sua dipendenza da farmaci. Il quotidiano aveva rivelato che l’entourage dell’artista chiamò un medico in California il giorno prima della morte. Tuttavia quel giorno il medico non era disponibile, quindi mandò il figlio per un consulto. Fu proprio il figlio del medico a chiamare i soccorsi quando Prince fu trovato privo di conoscenza». Non si sarebbe più svegliato, e poche ore dopo la notizia della morte avrebbe fatto il giro del mondo come adesso quella della sua causa. Tale è il destino di un certo tipo di fama: in morte supera quella avuta in vita, e se ci si ferma a pensarci non si capisce il perché.