Non solo chi causa l’ incidente mortale alla guida di un veicolo, ma anche chi non ha garantito la sicurezza delle strade può essere accusato di omicidio stradale. Sindaci, assessori, manager e tecnici delle aziende incaricate, nessuno escluso: chi risulta referente per un tratto di asfalto su cui avvenga un sinistro con esito fatale può essere perseguito per il reato introdotto lo scorso 25 marzo e, se riconosciuto colpevole di omissioni o trascuratezze, dovrà pagare di persona essendo l’ omicidio un reato ascrivibile solo ad un individuo e non agli enti genericamente preposti.
Il monito agli amministratori arriva dalla circolare che il Ministero dell’ Interno sta inviando in questi giorni a Prefetture e Questure di tutta Italia: «Il reato ricorre in tutti i casi di omicidio che si sono consumati sulle strade (…) anche se il responsabile non è un conducente di veicolo» e questo perché «le norme del Codice della strada disciplinano anche i comportamenti posti a tutela della sicurezza stradale relativi alla manutenzione e costruzione delle strade», si legge nel testo.
La circolare fa espresso riferimento all’articolo 14 del Codice della strada secondo cui gli enti proprietari, siano essi Comuni, Province o aziende devono provvedere alla manutenzione accurata dei tratti di competenza, al loro controllo tecnico e alla segnaletica. Una rivoluzione «che finalmente riconosce le responsabilità degli enti locali in tutti quei casi in cui il pessimo stato dell’ asfalto determina incidenti e provoca morti», spiega Fabio Galli presidente del Codacons e d’ora in poi «se un automobilista o un motociclista muore a seguito di un incidente provocato da una buca sull’asfalto il gestore risponderà personalmente del reato» e la regola «vale per sindaci, amministratori e per gli stessi ingegneri responsabili dei lavori che rischiano di finire in carcere se non garantiranno un adeguato livello di sicurezza». Per l’ Associazione vittime della strada è «un importante passo avanti viste le enormi difficoltà che da sempre hanno incontrato quelle famiglie che, in casi come questi, hanno chiesto giustizia» e che «troppo spesso non l’ hanno ottenuta» o hanno visto i processi trascinarsi per anni, fino alla prescrizione. Alessia Pedrielli (Libero)