Vespa-Riina, Saviano decifra i messaggi in codice di Cosa Nostra

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Roberto Saviano ospite a Che tempo che fa

di Gabriele Pocina

Non è un caso che Salvo Riina sia andato in televisione, e il suo libro non ne è il motivo. «Un mafioso va in tv per lanciare un messaggio» dice Roberto Saviano, autore di Gomorra ed esperto del fenomeno mafioso.  «E’ rischioso per gli uomini di Cosa Nostra esporsi, perché questo comporta una pressione, sollecitata dall’opinione pubblica, nei confronti delle autorità giudiziarie. Riina viene in televisione perché deve mandare un messaggio da parte di Cosa Nostra, la vecchia guardia. Riina và li non per sostituirsi al padre ma ne fa le veci». La stessa cosa fa il figlio di Provenzano, accostamento che Saviano descrive in tutte le sue analogie. Quando il conduttore cerca di indirizzare Salvo Riina a dar un giudizio sul comportamento del padre il figlio si divincola dalla domanda rispondendo: «Questo deve chiederlo a mio padre». Secondo Saviano i due non danno un’opinione per non sostituirsi ai rispettivi padri. Ecco che qui i figli dei boss valorizzano il principio di famiglia, il principio di unione. Esaltandone le qualità come padre appunto, «Mio padre mi è stato sempre vicino», sostiene Riina. Ecco il confronto tra le famiglie mafiose di ieri ed oggi, si riferisce alla vecchia famiglia di Cosa Nostra, la famiglia dei Corleonesi contrapposta a quelle di oggi. Esaltando le qualità della vecchia ed evidenziando i problemi nelle varianti di quelle nuove. «Nessuno si permetteva lussi sfarzosi», continua Provenzano. Saviano però invita giustamente a sostituire il termine famiglia con Cosa Nostra, per rendere ancora più chiaro e semplice il procedimento con cui Salvo Riina cerca di mandare i messaggi. 

Quando gli si chiede come giudica il padre per quello che ha fatto, il figlio del boss mafioso risponde: «Giudico mio padre per quello che ha fatto a me non per quello che ha fatto agli altri». L’uomo viene giudicato da loro per quello che fa per te, quindi se ti fa del male è un cattivo se ti del bene è un brav’uomo. Mafia, poi, è una parola che non è stata pronunciata in tutto l’intervista. Seguendo il parallelismo con il figlio di Provenzano, la situazione è gestita in maniera analoga da entrambi. Stavolta il giornalista glielo chiede. «Per lei la mafia che cos’è?». Salvo Riina risponde: «Non lo so, può essere tutto… non me lo sono mai chiesto». 

L’obiettivo è non attribuirla fisicamente a qualcuno o a qualcosa, ma allo stesso tempo chiarire che c’è, che esiste e che può essere in tutte le cose. Un tumore. L’omertà. La mafia non si nomina, come se fosse il primo dei principi del fight club. La mafia è qualcosa che può significare tutto e niente e per questo ha perso il valore di riferimento, per questo la parola mafia non è utilizzata dagli stessi mafiosi. Ecco il flashback che riporta all’intervista del figlio di Provenzano, «Angelo, mi spieghi lei cos’è la mafia». E Provenzano junior risponde: «Perché abbiamo la necessità di chiamare un’attività criminale con un nome specifico?». Si giustifica, cerca di scrollarsi questa attribuzione, come se lui non ne facesse parte, come se le attività di famiglia si distaccassero dalla mafia. La mafia è l’organizzazione criminale che deve esserci per forza se vuoi andare avanti, è la via che ti agevola le strade, è l’unica via che ti permettere di raggiungere le cose. L’unica via perché si insedia in tutto. 

C’è tempo di parlare anche degli eroi, Falcone e Borsellino. Vespa domanda un giudizio sui magistrati della lotta a Cosa Nostra, «Come li giudica?», lo dice quasi sottovoce, con paura il conduttore televisivo. «Io ho rispetto per i morti», risponde Riina. I morti, come se fossero semplici morti, per carità tutti gli uomini sono uguali, ma qui non si discute per il ruolo che ricoprivano bensì per come sono stati uccisi e da chi sono stati uccisi. Riina jr non risponde, teme la strumentalizzazione. Il figlio di Provenzano invece continua il lavoro di Pilato. Dice Angelo: «Due vittime della violenza, due vittime immolate all’altare», quasi a indicare che se lo sono cercato, come se l’avessero voluto proprio loro, i due magistrati. Si è parlato poi dei pentiti, soggetti a cui è stato mandato il messaggio più diretto.  Sostiene Riina: «I pentiti esistono solo in Italia». Cerca di svegliare gli uomini di Cosa Nostra, «Buscetta è stato usato dallo Stato», ci tiene a dimostrare che la libertà si può ottenere anche senza vendersi, lui ne è la prova, lui è lì in TV. Poi cambia destinatario, adesso sono le autorità giudiziarie, le magistrature. “Dissociazione” è il termine che inquadra la posizione che i mafiosi vogliono prendere, è con questo procedimento che Cosa Nostra cerca una nuova strada per la contrattazione. E’ questo che i nuovi mafiosi cercano di ottenere, è questo il messaggio per la giurisdizione, è il momento di rivedere le posizioni adottate dopo le Stragi del 1992 (41 bis). E’ la possibilità di assumersi le responsabilità riducendo le proprie pene, senza accusare gli altri, salvando la famiglia e l’organizzazione. 

Il momento è stato scelto con accurata attenzione, la crisi e la fragilità dello Stato rappresentano il terreno fertile per iniziare a piantare nuovi ideali, sfruttare la carne debole, proprio come delle iene. “La lotta alla mafia è conoscenza e sapienza”. Saviano conclude con una citazione di Montaigne.

La parola è per meta di chi parla e per meta di chi ascolta, quest’ultimo deve prepararsi a riceverla, come quando si gioca a palla, per chi sta in difesa si sposta per cercare di raccoglierla. 

Noi non siamo stati in grado di raccogliere la nostra metà di parola.