Dopo manovre pro-Tunisia affossata agricoltura siciliana. Le associazioni: “Nostre proposte ignorate”

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di Roberta Barone

Da sempre gli interessi economici di piccole elite, per essere concretamente realizzati, sono stati incoronati da grandi motivazioni sociali, politiche, ideologiche. E’ quanto accaduto di recente tra le mura delle istituzioni europee quando la proposta di aumentare l’importazione di olio tunisino è stata giustificata dalla necessità di aiutare un Paese come la Tunisia a stabilizzarsi, prevenendo così fenomeni ulteriori di radicalizzazione e terrorismo. Interessi economici che pero’ non si capisce bene a chi debbano beneficiare, considerato che – grazie alla ormai prassi di ‘aprire’ le frontiere ai prodotti stranieri – si scava sempre di più la fossa ai prodotti agricoli nostrani.

L’olio tunisino, che già si aggiunge alle meno recenti intese stipulate dall’Ue con altri Paesi come il Marocco nella medesima materia, non rappresenta tuttavia l’unico fattore responsabile della grave crisi in cui versa attualmente il comparto agricolo meridionale, con particolare riferimento a quello siciliano. Se l’arrivo di olio straniero permette purtroppo a molti commercianti e produttori locali di falsare il prodotto facendolo passare per siciliano all’occhio del consumatore, ancora più triste è constatare come la grave crisi agrumicola stia distruggendo le campagne, inducendo troppi agricoltori a mandare “tutto a quel paese”. Così ha detto uno di loro, Giuseppe Caponetto di Paternò, intervistato da MeridioNews: «Ho trovato una intesa di massima con un commerciante – spiega – ci siamo accordati per nove centesimo al chilo; preferisco vendere subito prima di non riuscire a piazzarli. Li vendo ma non so sinceramente se riesco a coprire le spese sostenute».

A Catania un chilo di arance siciliane, belle, colorite e succulente, vengono vendute ad 8 centesimi: una miseria che non permette agli stessi produttori di ricavarvi nemmeno le spese, per non parlare dei sacrifici che stanno dietro questo mestiere, del tempo impiegato, oltre che della delusione subita di chi sa benissimo di essere vittima di interessi economici ben più grandi del proprio orto.

«Qualche anno fa sognavamo di scardinare l’intero sistema, favorendo le vendite dirette attraverso delle cooperative coordinate dall’associazione “Valle del Simeto” e con l’utilizzo di un “magazzino sociale”», scrive su Facebook Emanuele Feltri, uno dei ragazzi facenti parte di una bellissima realtà, la comunità agricola siciliana “Terre di Palike”. «La nostra proposta – continua Feltri – è caduta nel dimenticatoio, non ci hanno ascoltato! Nessun sostegno alla vendita diretta. I comuni potevano utilizzare le risorse del psr ma è più comodo dire “non ci sono i soldi” e lasciare questo territorio nelle mani di due tre grossi commercianti che fanno il bello e il cattivo tempo! L’importante e partecipare alle marce contro la mafia ma di scardinare i meccanismi che alimentano i mafiosi e i loro interessi economici basati sullo sfruttamento e il terrore…neanche a parlarne!».

Uno sfogo che racchiude, in poche parole, tutta la rabbia di chi vorrebbe fare di più ma vede dinnanzi a sé soltanto porte chiuse o bastoni tra le ruote. In Sicilia l’aria che si respira è proprio questa. E’ la consapevolezza di essere messo con le spalle a muro mentre la tua arancia resta lì a marcire. E mentre Pd e compagnia bella continuano a votare accordi tesi ad affossare l’economia meridionale in nome del sacro “mercato unico”. Ricordiamo bene che l’Europa non è entità astratta: il più delle volte sta nel volto del partito che abbiamo votato e che continueremo a votare quando ci ripresenterà la soluzione per eliminare il problema che esso stesso ha contribuito a creare. L’Intellettuale Dissidente