di Roberta Barone
Di mezzo ci sono le intercettazioni a Berlusconi, c’è il Muos di Niscemi e ci sono le operazioni militari appena inaugurate a Sigonella dagli americani. Quello attuale è un contesto sicuramente critico per i rapporti italiani con le forze alleate che, da qui a settant’anni, ci tengono ormai in pugno militarmente, politicamente e culturalmente. Un contesto che ha portato alcuni intellettuali come il generale dell’Aeronautica Militare Mario Arpino, a dubitare sui motivi che hanno indotto in questi giorni alcuni gruppi editoriali a pubblicare la notizia delle intercettazioni denunciate da Wikileaks nei confronti dell’ex premier Silvio Berlusconi. Secondo lo stesso, infatti, quella di pubblicare il contenuto delle intercettazioni in Italia proprio adesso che a Sigonella cominciano a far chiasso i tamburi di guerra, potrebbe rispondere ad uno scopo preciso : “creare i presupposti perché l’accordo Italia-Usa sulle basi, quell’”accordo ombrello” sottoscritto nel lontano 1954 dal nostro Pella e dall’ambasciatore Usa Clara Booth Luce, venga rimesso in discussione” (da Libero Quotidiano, intervista di Marco Petrelli). Ma cosa prevedeva quell’accordo? E perché è sempre stato sottoposto a segreto di Stato? Dunque, cosa ci guadagnerebbe l’Italia nel metterlo in discussione?
Quello del 20 ottobre 1954 è un vero e proprio Patto bilaterale Usa-Italia, chiamato Bia o Bilateral Infrastructure Agreement e stipulato dall’allora Governo di Mario Scelba. Esso aveva fondamentalmente lo scopo di regolare la presenza militare statunitense in territorio italiano, tramite la sei basi fino ad allora esistenti: Vicenza, Sigonella, Napoli, Gaeta, Napoli e Livorno. Ma c’è di più. L’accordo non fu mai reso pubblico ed i motivi sono facilmente intuibili: l’unico tentativo in tal senso, avanzato da Berlusconi, fu subito messo a freno dall’amministrazione Obama, considerato che avrebbe potuto ridurre la sfera d’azione delle forze militari Usa in Italia. Fu proprio in quel messaggio rivolto all’Italia che venne ribadito un articolo (2) dello stesso trattato: «Il Governo degli Stati Uniti si impegna a usare le strutture previste dall’accordo nello spirito e nel quadro della collaborazione Nato. Il Governo degli Stati Uniti si impegna a utilizzare le istallazioni solo a seguito di disposizioni Nato o con il beneplacito del Governo italiano».
Quanto riportato dalla spiegazione dell’ambasciata Usa, significa letteralmente che quelle portate avanti dalle basi Usa in Italia potrebbero riguardare anche operazioni non direttamente volute dalla Nato, se autorizzate (beneplacito ndr) dal Governo italiano. Da ciò è facilmente deducibile la natura delle operazioni militari condotte negli scorsi anni in Iraq, per non parlare di quelle in Libia. Uno scenario che continuerà a ripetersi, considerata ormai la scarsa (o quasi invisibile) sovranità di un Paese come quello italiano che ha già dimenticato il giorno in cui Craxi fece circondare le forze militari Usa a Sigonella, facendole ritornare a casa a mani vuote. Oggi la situazione è più che mai capovolta: Sigonella è proprietà statunitense (ricordate il funzionario che tentò di entrarvi per chiedere delle informazioni sul caso Muos e fu cacciato?), e l’Italia si dimostra ancora una volta impotente di fronte l’arroganza politica di coloro che nel 1943 sbarcarono sulle coste siciliane servendosi della mafia.
La scusa della prevenzione al terrorismo, in territori dove il terrorismo è stato fomentato dalle stesse coalizioni occidentali, non funziona più. Il Muos è attualmente sotto sequestro, come disposto dall’ultima sentenza della Cassazione. Ed è proprio in questo momento storico che rimettere in discussione l’accordo ‘Ombrello’ del 1954 (piuttosto che interpretarlo estensivamente) potrebbe essere indispensabile e necessario per sottoporre allo stesso trattamento tutti gli accordi successivi, compreso il più recente firmato da Matteo Renzi nel totale silenzio delle istituzioni italiane. Perché il popolo non ha diritto a sapere? Cosa ci racconteranno un giorno se la Sicilia, da terra di pace e di accoglienza, diventasse primo bersaglio per i terroristi che operano nella Libia ‘liberata’ dalla stessa coalizione occidentale? L’Intellettuale Dissidente