di Valerio Musumeci
«Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da enorme dolore: / ed è subito Facebook». Così forse Salvatore Quasimodo avrebbe adattato i suoi versi immortali se fosse vissuto al giorno d’oggi. Alla settimana scorsa, anzi, quando l’ennesima follia di un terrorismo sordo e cieco come l’odio che lo agita ha fatto altre decine di vittime nel cuore d’Europa, Bruxelles. Ognuno è solo di fronte all’orrore, alla possibilità non troppo remota di trovarsi sul posto la prossima volta; ognuno è trafitto da enorme dolore, da inquietudine sottile e insidiosa, pronto a rispondere all’odio con altro odio oppure, e non è meglio, con altro buonismo; ognuno, infine, avverte la necessità di accedere ai social network e comunicare in diretta cosa pensi dell’attentato, dei terroristi, quali soluzioni sarebbe pronto a proporre e quanto siano imbecilli e complici coloro che hanno permesso il massacro.
Potremmo riprendere e riproporre, paro paro, ciò che scrivemmo all’indomani dell’attacco a Parigi del tredici novembre scorso. Anche allora i social arrivarono prima dei giornali, anche allora Facebook dette a coloro che si trovavano a Parigi la possibilità di comunicare ai propri cari di stare bene. Stavolta i morti sono stati trentaquattro, i feriti centotrenta e tuttavia non è stata data agli utenti la possibilità di mettere nell’immagine del profilo la bandiera del Belgio. Per ingannare il tempo – concetto tutto da esplorare, in situazioni come queste – c’è stato chi ha commentato a tutto spiano. Iniziamo dai politici o dai giornalisti o dagli intellettuali della domenica (anche se il fatto è accaduto lo scorso martedì)?
Iniziamo dai politici, che sono quelli con la capacità di reazione più alta, tanto più che stavolta è stata colpita la città dove alcuni di loro praticano il degnissimo mestiere di europarlamentari. Matteo Salvini, ad esempio, in due post a breve distanza riesce a contraddirsi in maniera a dir poco leghista. «ESPLOSIONI e morti all’aeroporto di Bruxelles. Io stavo arrivando lì ma ci hanno bloccato, tutto evacuato. Sto bene (a qualche scemo dispiacerà) e torno in ufficio. Non è possibile vivere sotto il ricatto dei violenti e dei folli. Io non mi arrendo, io non ho paura. Una preghiera per le vittime». Detto questo presumibilmente inizia a pregare, salvo ripensarci dopo due ore: «Eserctito [sic!] e giubbotti anti-proiettile all’ingresso del Parlamento. Città ferma, solo sirene, ambulanze ed elicotteri. E qualcuno continua a dire che non ci hanno dichiarato guerra… Sveglia! Le preghiere non bastano più». Dunque le ha fatte o non le ha fatte le preghiere? Il profilo Facebook del leader leghista non lo mostra, salvo documentare tramite foto mentre impavido si dirige verso il centro cittadino al grido di #iononhopaura. L’eurodeputato Gianluca Buonanno, sempre della Lega, avverte di essere un sopravvissuto: «Sono a Bruxelles, dovevo essere anche io in aeroporto … Il destino mi ha dato una mano!!! Accendo un cero … Un pensiero e una preghiera alle vittime innocenti e ai feriti… I Terroristi islamici sono degli animali bastardi!!!». E fin qui tutti d’accordo, compreso il cero del quale però non conosciamo la destinazione votiva, se al dio Po oppure a un ritrovato Dio cristiano. Dall’altra parte dell’arco costituzionale europeo l’ex ministro Cécile Kyenge Kashetu promette un pensiero: «Seguendo con apprensione e dolore da assemblea ONU gli sviluppi della situazione a Bruxelles. I miei pensieri sono con le vittime e le loro famiglie». Poche ore prima aveva chiesto, pubblicando una foto di Nelson Mandela, «la nascita di un Intergruppo parlamentare contro la xenofobia per unire tutte le forze del Parlamento Europeo su proposte ed iniziative concrete #StopRacism». Pochi pensieri ma confusi bene. L’eurodeputato del Nuovo Centrodestra Giovanni La Via informa con un video che «il Parlamento é blindato» e che «dobbiamo trovare una soluzione per reagire a questi attacchi»: e in effetti a questo punto non c’è altra soluzione che trovare una soluzione, visto che altre soluzioni non hanno funzionato. Lara Comi di Forza Italia è stata graziata dal destino: «Sarei dovuta arrivare a Bruxelles stamattina. Un impegno istituzionale mi ha trattenuta a Roma. Non possiamo far vincere il terrore e la paura. Prego per le vittime e le loro famiglie…». L’impegno istituzionale non sappiamo quale fosse, ma di certo stamane era a Coffe Break su la7. E in effetti il network di Urbano Cairo sta avviandosi a diventare luogo istituzionale di complemento, insidiando seriamente la “terza camera” notturna di Bruno Vespa. Naturalmente il web ha pullulato di dichiarazioni e riflessioni di politici anche esterni al Parlamento Europeo: ve li risparmiamo.
I giornalisti, con il dovere di separare i fatti dalle opinioni, approcciano la questione in maniera più concreta. Il direttore de Il Fatto Marco Travaglio dovrà rimborsare qualche biglietto visto che «per motivi che mi pare superfluo spiegare, il mio recital di domani a Bruxelles è rinviato a data da destinarsi». Che culo. Selvaggia Lucarelli non resiste ad esporre serie argomentazioni facebukkiane sul fatto del giorno: «Non è Tokyo ma il Portello, non è una chitarra ma è un ukulele, non è la solita canzonetta ma quella meraviglia romanticosa (petaloso sì e romanticoso no?) di Lava Song, non è un cantante qualunque ma il mio cantante e non solo cantante preferito». Segue video di Lava Song (?). Claudio Cerasa non ci fa mancare il tweet al brucio ripubblicato su Fb: «In Siria, in Iraq e in Libia gli ostaggi sono le persone. In Europa, da Parigi a Bruxelles, gli ostaggi sono le città: le capitali d’Europa». Tutto chiaro. Se tacciono i grandi vecchi dell’informazione italiana – dovremo aspettare i giornali per leggere gli Scalfari, i Macaluso, i Pansa – non tace Sallusti, che rimpiange «la grande lezione di George W Bush e dell’America neocon, che ad ogni attentato jihadista ci mancano di più». Davvero? Comunque questo è Giovanni Sallusti, il nipote di Alessandro, proditoriamente direttore di un foglio online chiamato L’Intraprendente. Sobri e concreti, dunque, i giornalisti. Anche stavolta perlomeno c’è la notizia, e potranno evitarsi pubblicazioni di gattini, propagande varie a favore di cose varie e attacchi al direttore di questo giornale. Il quale, a proposito di Facebook, scrive a caldo che «loro [i terroristi] sono disposti a morire per questo. Noi pensiamo che la libertà da difendere sia quella di fare sempre quello che ci pare, slegati da ogni orizzonte valoriale? Ovviamente i soldati di una libertà così sono pupazzi di cartone per dei guerriglieri animati da una fede non condotta all’incontro con la ragione». Niente niente ha ragione lui? E mo’ chi lo dice a Fabio Volo e a Luca Telese?
Veniamo quindi agli intellettuali della domenica (ovvero del martedì), al solito divisi secondo lo schema conservatori ultras e progressisti fru fru. Per i conservatori c’è chi riesce a dire che la colpa è di papa Francesco, reo di aver chiamato i musulmani “fratelli” e di essersi inginocchiato durante la cerimonia della lavanda dei piedi. Antonio Socci ricorda che «papa Bergoglio, giorni fa, ha esaltato i possibili benefici di una “invasione araba dell’Europa”…», e giù foto della Fallaci, del venerato Benedetto XVI “profeta inascoltato” (profeta o rigoroso studioso? Alcuni non capiscono più la differenza), del cardinale Giacomo Biffi che “ci aveva avvisato” e fu considerato “un pericoloso oscurantista”. Un approccio alla verità alquanto berlusconiano, ovvero teso a vertere dati obbiettivi a favore o contro ciò che si vuole: in questo caso contro papa Francesco, che pure un canino internauta ritiene l’origine e la causa di tutti i mali, in un processo di masturbazione mentale permanente che a parere di chi scrive azzecca poco con il cristianesimo. Ma separiamo i fatti dalle opinioni, appunto, e andiamo oltre. Il campo dei progressisti fru fru, teorici dell’accoglienza indiscriminata e critici con Bergoglio perché troppo conservatore – solo qualche giorno fa Vito Mancuso tracciava un quadro deprimente di un papa collaborazionista nei confronti di forze oscurantiste e retrograde, subito rilanciato da tutto il codazzo di filosofi a la page – per il momento tace, forse alle prese con quel sanissimo rigurgito di coscienza che in occasioni come questa può lambire la mente umana, nonostante si continui a giocare intorno alle tragedie come se si trattasse di una partita tra due squadre. La Croce – Quotidiano