Una delle regole del gioco democratico e della vita politica è, deve sempre essere, la trasparenza. E uno dei piaceri coltivati dal giornalismo politico italiano è raccontare i partiti, disossarli per benino, seguirne le evoluzioni, i congressi, le cordate e le correnti, le linee politiche, i programmi, il dibattito interno, cene e pranzi, costruire retroscena, gossip, casi del giorno, ritratti, interpretazioni, fare domande, pretendere risposte. Perché questa regola, salvo rare eccezioni, non vale per i 5 Stelle, gratificati invece da una rispettosa distanza, è uno dei tanti misteri italiani. Essendo però ancora accreditati dai principali istituti demoscopici come secondo partito italiano, forse vale la pena occuparsene.
Molti attenti osservatori davano per certa la mutazione da Movimento nato tra gli applausi eccitati per mettere in mutande un intero ceto politico a gruppo o partito politico più strutturato con regole chiare sul dibattito e le decisioni interne. Non è andata così. E non è semplice spiegare perché i 5Stelle sono finiti quasi ovunque in confusione e nell’autoreferenzialità, frammentati e defilati da qualsiasi radicamento territoriale (i dati dei votanti via blog dei candidati a sindaco nelle grandi città sono da condominio) e ancora privi di uno straccio di programma e visione del Paese. Impressiona non poco la forma politica originale, non tanto personalizzata (la personalizzazione da un ventennio è un dato acquisito) quanto totalmente personale. Se Grillo resta titolare del marchio, Casaleggio è l’unico ideologo, stratega e agisce con logica padronale. Ma la sua è un’assenza, un nome e un volto ma privi di personalità politica. E altri leader non crescono intorno ai due, nonostante gi sforzi di noi giornalisti che riusciamo a far resuscitare dal tonfo di Quarto Luigi Di Maio e a proporlo come “candidato premier” solo per essere stato ricevuto per via del suo ruolo istituzionale (vice presidente della Camera ma eletto con 183 preferenze, e già candidato a Ponticelli e non eletto con 50 preferenze) dagli ambasciatori Ue a Roma. A far brillare nel firmamento la stella di Virginia Raggi, candidata a sindaco a Roma.
Ma quanto sono affidabili i grillini non più di lotta ma di governo locale? Alla vigilia delle amministrative, la domanda è d’obbligo. Sfogliate le cronache locali degli ultimi mesi, cosa colpisce dopo il loro primo salto dal Vaffa ai 16 municipi conquistati dai pentastellati? Quasi sempre, al di là delle buone e confuse intenzioni, il tradimento delle attese, delle premesse e delle promesse, un carnevale di prove inconcludenti che omologa le giunte grilline tra le peggiori amministrazioni locali. Dopo tante illusioni, sono arrivate le delusioni. Più di qualcosa è andato storto, e sembrano aver esportato in sede locale la loro strategia del fallimento e dell’eterno incontrollabile casino. Fa il paio con l’essere passati dalla promessa dell’apriscatole del Palazzo a pilastri della conservazione del peggio della prima repubblica. Non a caso li ritroveremo al referendum costituzionale a battersi contro la riforma che elimina il Senato (agli atti resta anche l’ostruzionismo agli ordini di Brunetta contro la cancellazione delle Province), chiude il Cnel, riduce di un terzo parlamentari e costi della politica, cancella il bicameralismo rendendo più semplice lo Stato: cose che anni fa fuori dal Palazzo Grillo e i suoi sostenevano con toni bellicosi.
Dunque, se le città pentastellate dovevano spianare la strada alle loro ambizioni, l’esperimento al momento funziona al contrario. Nella fenomenologia grillina direbbe già tutto l’addio da Parma di Federico Pizzarotti, di gran lunga il miglior sindaco di provenienza 5Stelle ma subito accusato di «alto tradimento» ed emarginato per aver invocato meet-up nazionali contro il direttorio calato dall’alto o per l’insistenza nel voler governare con buon senso e facendo gli interessi dei cittadini. La vicenda di Quarto e la sua pessima gestione ha mostrato l’inconsistenza dei parlamentari campani come Fico e Di Maio. Abbiamo visto chi dava di corrotti, mafiosi e ladri a tutti, annaspare in un vortice di smentite e controsmentite capaci di far impallidire i vecchi marpioni di partiti clientelari. Le più alte cariche campane in Parlamento, sembravano due vecchi capi bastone, con Grillo a spiegare che non era successo granché, quando un tempo avrebbe iniziato una maratona mediatica con il topos dell’onestà. Hanno provato a coprire quella brutta storia di infiltrazione camorrista nelle loro liste, e persino Roberto Saviano sbottò che se sono incapaci o sapevano e hanno fatto finta, se sono così senza poteri e senza ruolo, ma allora che ci stanno a fare?
Ma i cahiers de doléances coprono tutto lo Stivale a trazione grillina. Dai sindaci cacciati di Quarto, Gela e Comacchio alle bucce di banana sulle quali scivolano i primi cittadini di Livorno, Venaria, Civitavecchia, Pomezia, Bagheria o Ragusa. Ci stanno l’inesperienza, il dilettantismo, l’impreparazione. Ma non spiegano tutto e i flop meriterebbero analisi chiare e autocritiche. Per chi già li accredita al governo di una metropoli come Roma, può essere utile l’indagine sul gradimento dei sindaci grillini del Sole24Ore che li colloca nella bassa classifica, scarsissima popolarità e con giudizi negativi.
La Caporetto comunale è la punta di un iceberg. A poco più di tre anni (febbraio 2013) dalla sua esplosione elettorale, ancora non esiste una bussola politica, non ci ha notizia di un dibattito interno come non c’è chiarezza sulle entrate e le uscite finanziarie o sulle buste paga dei parlamentari. Ed è preoccupante, ancorché trattata con distacco da molti commentatori, la spy story del clamoroso controllo di mail, chat e documenti di parlamentari. In passato ci furono sospetti di hackeraggio di e-mail, notizie di cancellazioni di posta elettronica denunciate da parlamentari grillini, di ingressi abusivi nei sistemi informatici e utilizzi impropri del server. Sembrano pratiche di spionaggio di una società privata esterna ai danni di parlamentari della Repubblica. Se confermate si profilano reati pesantissimi che riguardano libertà personali, privacy, mandato dei parlamentari, inviolabili principi democratici.
Questa segretezza si riflette o è la causa anche del clamoroso numero di addii ed espulsioni, un caso unico in Europa: dall’inizio della legislatura ben 37 parlamentari sono stati cacciati o hanno abbandonato per vari motivi i 5Stelle: il 22%, uno su quattro prima linciati e poi fatti fuori online, cioè dal server gestito dalla Casaleggio Associati Srl di Milano. Buttati fuori anche diversi assessori e consiglieri comunali, e per ultimi i 36 del meet-up napoletano, gruppo di discussione su Facebook, evidentemente sfuggiti ai comandi del server. Dalla favoletta dell'”uno vale uno” sono balzati al modello “uno vale più di tutti”, grazie alla delega totale alle ambiguità del web.
L’esilarante e inquietante utopia di Casaleggio è finora l’unico manifesto politico dei 5Stelle. Ha firmato due perle: il mitico video su YouTube dal 21 ottobre 2008: “Gaia: The future of politics” che prevede “Nel 2018 il mondo diviso in due blocchi: a ovest con Internet e a Est con una dittatura orwelliana. Nel 2020 la Terza Guerra Mondiale (durerà vent’anni). Nel 2040 trionfo della Rete. Nel 2054 le prime elezioni mondiali in Rete. Spariranno religioni, partiti e governi nazionali”. E poi la fatica letteraria: “Veni Vidi Web”. Un delirio totalitario con la visione del “mondo perfetto” dove «Petrolio e carbone sono proibiti insieme alla circolazione di macchine private… L’emissione di CO2 e il taglio indiscriminato di alberi sono puniti con reclusione fino a 30 anni. Tabaccai, macellerie e librerie sono scomparsi, i cacciatori sono lasciati nudi nei boschi e braccati da personale specializzato con pallettoni di sale grezzo dall’alba al tramonto», gli avvocati ridotti «a un decimo», «gli ipermercati rasi al suolo ovunque», «le statue di Garibaldi sostituite da statue di Gandhi», «corrotti e corruttori sono esposti in apposite gabbie sulle circonvallazioni delle città nei week end», chi possiede beni «mobili e immobili per un valore superiore a cinque milioni” deve restituire l’eccedenza, altrimenti sarà “rieducato alla comprensione della vita in appositi centri yoga». il mercato abolito, il reddito di cittadinanza sarà universale e le multinazionali «dichiarate illegali in tutto il mondo».
Nello Stato di Casaleggio «ogni cinque anni si vota on line per una nuova costituzione» sotto la guida illuminata dei «ministeri della Pace, della Vita e della Giovinezza» che, come tutte le altre «cariche politiche e istituzionali», saranno occupate da «cittadini estratti a sorte». Dissenso, opinione e pensiero sono banditi, insieme alla libertà di stampa, di coscienza, di espressione. La Rete saprà interpretare il «sentiment dei cittadini». Eccola la vera mutazione. HuffPost