di Valerio Musumeci
La piazza azzurra ha infine scelto Guido Bertolaso. Le “gazebarie” (neologismo incredibile che rimanda a mammiferi africani striati di bianco e nero), nonostante abbiano tediato un Berlusconi costretto a sponsorizzarle per due giorni girando per Roma, hanno sancito il risultato sperato: la conferma di Bertolaso. Il capo di Forza Italia, lo si ricorderà, ha sempre guardato con sospetto a primarie et similia: ma nella situazione presente non ha potuto evitare di starci, visto il braccio di ferro deciso da Matteo Salvini sulla Capitale.
Brevemente: Paola Taverna, in maniera goffa, ha detto qualche giorno fa la verità. A Roma non esiste forse un complotto per far vincere i Cinque Stelle, ma certamente i partiti del canonino arco preferirebbero governare per interposta persona. Un candidato civico, moderato e dialogante, che risponde al nome di Alfio Marchini. Non per nulla Berlusconi tentò per primo di intestarsi quel nome, provocando la levata di scudi di chi (Meloni e Salvini) si pone come protagonista del centrodestra futuro e mal digerisce inciuci e tatticismi (ben descritti da Francesco Storace). Berlusconi, viceversa, bada al sodo e a salvare il salvabile: da qui la scelta, escluso ufficialmente Marchini, di un candidato non troppo agguerrito come Bertolaso. Stessa mossa, identica, l’ha fatta Matteo Renzi dall’altra parte: di Giachetti si potranno apprezzare modi e iniziative passate, ma non è evidentemente quel trattore di voti che il partito di governo dovrebbe cercare per la Capitale, specie dopo la magra figura di Ignazio Marino. Candidati scipiti, dunque, quelli schierati da centrodestra e centrosinistra, nella speranza di favorire Marchini il quale sarebbe l’uomo ideale.
Senonché a destra, l’abbiamo visto, Salvini e Meloni hanno capito il gioco del Cavaliere e, immaginandosi da qui a cinque anni in posizione nettamente dominante nella coalizione (immaginando cioè la morte naturale di Berlusconi, o un impedimento grave alla sua permanenza sulla scena – brutto dirlo, ma è così), stanno tentando in modi diversi di forzare la mano per ridimensionare il ruolo dell’ex presidente del Consiglio. L’una decapitando l’ipotesi Marchini e ora proponendosi personalmente al Campidoglio, l’altro osteggiando platealmente la scelta – comune, si era detto, e lo ricorda ogni venti minuti Renato Brunetta – dell’ex capo della Protezione Civile. Insomma ora o mai più: se nonostante la conferma di Bertolaso alle “gazebarie” il Cav deciderà di convergere sulla candidatura della Meloni (candidatura pretestuosa e disutile, per quanto abbiamo descritto) rischierà di uscire definitivamente di scena, nonostante la scelta condivisa (cioè sua) di Stefano Parisi a Milano. Se viceversa Berlusconi riuscirà a imporre Bertolaso, a costo di correre da solo, la sua presenza in campo si rinvigorirà: che Bertolaso vinca (improbabile) o che vinca Marchini (più probabile), sarà sempre Berlusconi l’interlocutore privilegiato del sindaco di Roma, essendo la Meloni ancora assai minoritaria e Salvini naturalmente distante dalla politica romana. Ecco perché Silvio s’è fatto forza e, accompagnato dal solito manipolo di scudieri che servono sopratutto a fare folla intorno a lui, ha accettato di partecipare a quella che lui per primo riteneva una pagliacciata, ovvero le primariette romane. L’Intellettuale Dissidente.