Tanti partiti, pochi voti, molte ambizioni. Il centro non è mai stato così affollato: Verdini con Ala, Ncd di Alfano, quel che resta dell’Udc, Scelta civica del viceministro Zanetti, fuoriusciti vari da Lega e Forza Italia, con l’aggiunta di altri pezzetti di un centro senza gravità permanente. Da quando Verdini ha definito «inevitabile» un percorso verso una «convenzione di centro», cioè, fuor di politichese, un’aggregazione delle forze centriste ora in ordine sparso (tutte fuori dal Parlamento se al prossimo giro si voterà con l’attuale Italicum), le manovre hanno subito un’accelerazione. Il punto, quando si immagina un contenitore unico, è sempre lo stesso: chi annette chi, chi fa il capo. E qui l’unità di intenti (tutti «moderati», tutti simpatizzanti, se non alleati, del governo Renzi) lascia il posto alle ambizioni e alle rivalità.Il rapporto personale tra Verdini e Alfano, ad esempio, «è inesistente» racconta un fedelissimo del leader Ncd. «Non c’è mai stato feeling tra i due, il rapporto si è logorato ancora di più durante il governo Letta. Lui ha incassato poltrone noi invece siamo coerenti con una scelta politica» spiega invece un verdiniano della primissima ora. Quel che rende molto complicato un «percorso comune» tra Ncd e l’Ala è un’idea diversa sulla leadership di questo agognato nuovo centro. Se nel campo di Verdini si ripete che un leader comune dovrà essere una figura nuova (e che Verdini non ha ambizioni di leadership, esercita il potere in altro modo), dall’altro campo Alfano si immagina come il naturale leader di un nuovo partito di centro agganciato al Pd renziano, una «Margherita 2.0». IlGiornale