di Stefano Filippi
È finita come ci si aspettava: con una colossale speculazione finanziaria. La casa di Montecarlo di Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini, svenduta nel 2008 da Alleanza nazionale, è stata appena ceduta con un’operazione che ha fruttato un guadagno enorme a chi l’ha goduta per questi sette anni.
Quando la proprietà passò dal partito di Fini alla finanziaria off shore che l’affittò a Tulliani, era stata valutata 300mila euro. Pochi giorni fa è stata rivenduta a 1.360.000 euro. Giusto un milioncino in più. Il quartierino era stato donato agli eredi di Giorgio Almirante dalla contessa romana Annamaria Colleoni. Il testamento non lasciava dubbi: la nobildonna destinava il patrimonio come «contributo alla buona battaglia», cioè la difesa dei valori della destra. Invece il «2 pièces» al piano rialzato di boulevard Princesse Charlotte 14, poco lontano dal Casino di Montecarlo, è stato manovrato dal cognato di Fini, che l’ha fatto comprare per due soldi per poi rivenderlo a una somma moltiplicata di quattro volte e mezzo. L’affare della vita.L’allora presidente della Camera disse in televisione che «il valore stimato era di circa 230mila euro» e che l’immobile «non è una reggia anche se sta in un Principato». Rimproverandosi «una certa ingenuità», tentò di far credere di non saperne nulla benché la società acquirente (Printemps Ltd, una finanziaria con sede nel paradiso fiscale caraibico di St Lucia) gli fosse stata presentata dal cognato, fratello della seconda moglie Elisabetta. Tulliani figurò di aver preso in affitto l’immobile, vi piazzò la residenza nel Principato, e negli scorsi mesi ha condotto personalmente le trattative per la vendita. L’operazione è stata camuffata da un intrico di società off shore svelate nell’atto di vendita redatto dal notaio Magali Crovetto-Aquilina il 15 ottobre scorso e registrato alla Conservatoria dei registri immobiliari di Monaco nel Volume 1562A, numero 0005A.
Nel 2008 l’appartamento di boulevard Princesse Charlotte (ingresso, due stanze, bagno, cucina, balcone) viene venduto da Alleanza nazionale alla Printemps Ltd per 300.000 euro, che lo rivende subito per 330mila euro alla Timara Ltd. Entrambe le società hanno sede al 10 di Manoel Street a Castries, capitale di St Lucia. La seconda vendita accresciuta del 10 per cento serve a mascherare il compenso per chi ha architettato la transazione. Nel 2011 la Timara cambia paradiso fiscale pur restando alle Antille: da St Lucia ad Anguilla. Successivamente viene incorporata dalla Caribbean Services Ltd, che a sua volta cambia ragione sociale riprendendo il nome di Timara e poi modifica ancora nazionalità: da Anguilla a Dominica, nella capitale Roseau Valley. Mentre le società saltellano da un’isoletta offshore all’altra, la casa di Montecarlo resta sempre nella disponibilità di Tulliani. Sul campanello esterno appare ancora il nome Colleoni, la contessa buonanima, mentre su quello interno l’intestazione è del cognato di Fini. Ed eccoci al 15 ottobre 2015. Davanti al notaio Crovetto-Aquilina compaiono tre persone. C’è Pascal Chaisaz, titolare dell’agenzia immobiliare Mirage Estate che aveva in carico l’appartamento. C’è Alex James, dominicano, amministratore unico della Timara Ltd, domiciliato nella cittadina di Canefield, sobborgo di Roseau Valley. E c’è Pirmin Swen Lüönd, 32 anni, svizzero di Zug. È questo rampollo di una dinastia di industriali elvetici dei mobili a comprare il quartierino della «buona battaglia». Lüönd abita proprio di fronte, nella parallela Rue Bel Respiro 10: Villa Jacqueline si affaccia anche su boulevard Princesse Charlotte. A un certo punto alla compravendita si è unita una quarta persona, Olivia Samar, per conto della Banque Internationale à Luxembourg, che ha concesso a Lüönd un mutuo astronomico: l’intero importo. Per un anno la Mirage Estate ha proposto la casa per 1.800.000 euro. Le foto in vetrina documentavano la bella ristrutturazione commissionata da Giancarlo Tulliani all’impresa edile monegasca Engeco, compresa la famosa cucina Scavolini apprezzata anche da Elisabetta e Gianfranco Fini. Alla fine la proprietà ha dovuto concedere uno sconto. Ma l’affarone resta. IlGiornale