Avvertiva Federico Fellini trent’anni fa: “Dai bilanci ho sempre rifuggito, sono operazioni masochistiche e inutili: neppure i bilanci degli Stati o delle società funzionano, figuriamoci quelli di un regista. È chiaro che in questa fase, del Paese e del mio mestiere, finire un film mi sembra abbia un sapore diverso: dato che il cinema pare un passatempo rituale e sorpassato, non sai se e quando ricomincerai a lavorare, se potrai, se ne avrai voglia…” Parole, quelle pronunciate dal maestro del cinema italiano oltre trent’anni fa, che appaiono singolarmente profetiche se accostate al risultato conseguito dai tre registi italiani (Paolo Sorrentino con Youth, Matteo Garrone e il suo Tale of Tales, Nanni Moretti con Mia Madre) al Festival del Cinema di Cannes. Nessun premio, nessuna menzione d’onore. Come se non ne avessimo avuto voglia, come se l’Italia non potesse ambire, come in passato, a conquistare il più alto premio dei francesi (la Palma d’Oro, assegnata quest’anno all’indigeno Jacques Audiard e al suo Dheepan). Perché sia andata così non è facile dirlo. Possiamo azzardare un’ipotesi, e cioè che i film presentati dall’Italia soffrissero di una malattia sempre più frequente nel cinema nostrale, ovvero la necessità di appoggiarsi all’estero. Stranieri gli attori, i produttori (fondamentali) e i titoli – italiano il concept, ma non è abbastanza per trovare quell’odore di casa dei vecchi tanto caro a Jep Gambardella ne La grande bellezza dello stesso Sorrentino, non casualmente premiato agli Oscar dell’anno scorso. Era l’Italia.
A Cannes Italia non ce n’era, e il critico cinematografico critico Gianni Canova ha spiegato perché: “Il cinema italiano, a livello artistico, progettuale e creativo è il migliore del mondo. A livello produttivo e industriale andiamo invece meno bene perché siamo spesso un po’ cialtroni. Come talento creativo e visionario nessun’altra cinematografia può mettere sul piatto tre talenti come quelli che portiamo a Cannes. E a questi vanno aggiunti anche grandi maestri ancora in attività, come Bellocchio e Bertolucci. […] Noi non abbiamo ancora un’industria culturale degna di questo nome, quindi bisogna giocare la partita fuori. L’Italia è l’unico paese europeo che non prevede l’insegnamento di media e prodotti audiovisuali nelle scuole dell’obbligo. E questo si riflette — e lo si può verificare facilmente, io l’ho fatto mediante una ricerca universitaria — in una incompetenza sconcertante, in una reale e completa analfabetizzazione del pubblico”. Come se il Texas non avesse trivelle per il petrolio, eppure l’Italia questo sta facendo, esternalizzare i propri talenti perdendo così l’impronta della propria storia e del proprio talento. Ci siamo sforzati di perdere, inseguendo falsi miti culturali e auto commiserandoci. Bravi noi. Aveva ragione Fellini, non abbiamo più voglia.
Valerio Musumeci