Adesso che il quadro è relativamente più chiaro e sulla testa di qualcuno le nuvole appaiono più diradate in attesa che comunque la Giustizia faccia definitivamente il suo corso, l’attenzione deve necessariamente spostarsi su un piano differente. Arresto del primo cittadino sì o arresto no, oltre la parentesi giudiziaria, adesso si apre per la città di Paternò una fase in cui chi poteva essere considerato fino a ieri un soggetto giunto al capolinea, oggi ritrova certamente uno spazio di agibilità inedito e forse inaspettato. Sia consentito, da questo piccolo ma significativo osservatorio, che lo sguardo si sposta necessariamente sul dato politico di quel che resta di questa Amministrazione Comunale di Paternò e di chi la guida. Ma statene certi: questo status ritrovato non spingerà chi oggi rema la barca verso direzioni diverse, facendo capitolare la comunità ancora nella sua piccola nicchia di insicurezza e tribolazione istituzionale.
Chi scrive ha vissuto certe inclinazioni dall’interno, ma non vi è per questo pentimento perché il pentimento è di chi ritiene di avere operato decisioni sbagliate e in malafede: non è questo il caso. E non sarà questa la sede per una tirata d’orecchi, perché il tempo dei maestri che si improvvisano amministratori di passaggio senza deleghe deve pur finire. Questo è il tempo delle più larghe considerazioni e di constatare alcune delle più grandi tra le incompiute politiche e amministrative da otto anni a questa parte.
Anni passati a rammentare che i paternesi attendevano un autentico cambiamento per poi ritrovarsi la stessa squadra di sette anni prima – anche un po’ drogata da una retorica che appare ormai infinita – è forse la delusione più amara e cocente. Dietro il fallimento politico più disarmante della storia politica recente di Paternò (più alte sono le aspettative, tanto più alta è la delusione) pare esserci stata una regia puntualissima e attenta: un taglia e cuci scrupoloso che non ha fatto altro che imbarbarire il dibattito nella città, ridotto ai minimi termini, ed una qualità dell’azione di Governo che non ha fatto altro che limitarsi ad incamerare – quando andava bene – finanziamenti portati in dote dai concittadini oppositori che operano nel capoluogo di Regione, salvo poi strombazzare ai quattro venti cose e numeri i cui meriti sono soltanto in una minima parte ascrivibili a questi signori che siedono in Piazza della Regione.
Giorni fa sui social parlavo di una imperturbabile propaganda senza fine, ed è la verità. Non che sia un gran peccato, ma quando resta solo quella, quando a Roma si attendono certe decisioni, non si può certo andarne fieri. Che dire poi delle dimissioni dell’ennesimo assessore a meno di un mese dalla sua nomina: un allontanamento che non viene raccontato per intero se si considerano le supposizioni, con tanto di richiesta di chiarimenti ufficiale, avanzate da un gruppo di consiglieri comunali di opposizione che vorrebbero l’ormai ex componente del governo cittadino (professione avvocato) in pieno conflitto d’interesse.
E poi, il peccato più grande: non aver saputo cogliere degnamente quella fortunatissima ed eccezionale finestra politica che avrebbe certamente consentito al primo cittadino di ottenere di diritto un posto da protagonista nel tavolo politico che sceglierà chi dovrà prendere il suo posto nel 2027. Un’apertura di quei Fratelli d’Italia che in un certo frangente, e per alcuni, può essere stata interpretata come una sciagura, ma che invece se saputa cogliere avrebbe potuto rinsaldare tutto l’arco costituzionale azzurro sotto un’unica guida, forse non la migliore ma pur sempre comune e di enorme valenza dal punto di vista politico. Si sarebbe di colpo materializzato quello splendido ponte tra Paternò e Palermo (con vista Roma) di cui tanto avrebbe potuto godere la città. Goderne appieno. Ma quando a guidare l’animo degli uomini e soprattutto delle donne sono il livore, l’invidia e quel maledetto provincialismo, non si può fare altro che assistere ad un arretramento generale, dalle conseguenze scontate.
Si consenta inoltre un focus particolareggiato sull’aspirazione massima che sia nel 2017 ed ancor di più nel 2022, chi oggi governa la città aveva posto come obiettivo numero uno della sua stagione verde, ovvero: creare una nuova classe dirigente che potesse, con un degno affiancamento, prendere le redini della città in tempi non troppo lontani e lanciarla verso i suoi prossimi trent’anni con audacia e ritrovato ottimismo. In mezzo a questo non si dimentichino tutti i buoni propositi amministrativi fin qui totalmente disattesi. Cosa si è fatto invece? Stravolte tutte le cosiddette regole non scritte della politica: gli amici quelli buoni consecutivamente prelevati dalle impervie e sfortunate classifiche dei voti e catapultati una volta qua e una volta la, col faro ben puntato. Più di recente, gli altri amici buoni parcheggiati sugli scranni più alti, pronti ad eseguire ordini in un contesto in cui lì dentro il sindaco sei tu e non quello lì. Dunque, fatti fuori gli amici quelli brutti, odiosi e fin troppo senzienti, si è degnamente provveduto a posizionare donne e uomini che fino alle 24 ore precedenti mangiavano nel piatto del nemico, salvo poi essere recuperati indegnamente, lasciandoli accomodare bellamente lì dove avrebbero dovuto sedere i giusti: altri uomini e altre donne che il manifesto lo hanno pagato di tasca e che i voti li hanno presi davvero, non solo guardati da lontano, salvo poi essere declassificati, in certi casi anche con notevoli umiliazioni. Cos’altro dire? C’è da augurare tanta fortuna di quella vera, a questa nostra sfortunata Paternò. Ai leader di oggi il compito di individuare quelli di domani, che sappiano realmente svoltare in modo decisivo. Per tutti gli altri un solido paracadute prima dello sfascio definitivo.