“L’OLIMPO DI CAMILLA” – L’irresistibile leggerezza del fallimento

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di Federica Camilla Parenti

“Sono felice che questa generazione di atleti abbia spostato lo sguardo, preteso di poterci provare senza la paura di fallire e di gioire per una soddisfazione personale, negarla è violenza. Non conta solo vincere”. Sono le parole di Federica Pellegrini, emblema del nuoto femminile azzurro, che in occasione delle Olimpiadi di Parigi 2024 si schiera a favore della collega Benedetta Pilato, giovane ranista che si aggiudica il quarto posto nella finale dei 100 rana, sfiorando il podio per un centesimo di secondo. Ma quanto pesa la sconfitta sul sistema nervoso? Lo dice la scienza: il peso della sconfitta è equiparabile al dolore che il cervello percepisce quando sbatte la testa contro lo stipite di una porta, il che aumenta il livello di stress presente nel corpo. Eppure, il bisogno di vincere affonda le sue radici agli albori della civiltà, quando l’istinto di sopravvivenza spinge l’uomo ad assecondare quell’impulso arcaico che guarda alla vittoria come al perpetuarsi della specie. In qualche modo, siamo figli della cultura della vittoria, che per secoli ha garantito all’individuo di salvarsi.

Oggi le cose sono cambiate. Nell’era della performance e della corsa alla perfezione il trionfo in ogni competizione è diventato un must, il mantenimento dello status sociale un valore irrinunciabile al punto da spingerci a essere troppo severi con noi stessi. Siamo dei giudici spietati, alle prese con una gara contro l’Altro e contro il tempo, nel tentativo di assicurarci una fetta di successo che possa colmare il nostro bisogno narcisistico di vedersi riconosciuti. Il terrore di fallire, di perdere, di sbagliare pilota le nostre scelte, l’autocritica diventa il metronomo dell’ego che, nel tentativo di preservare la propria immagine, è capace di mettere in atto i meccanismi più disparati. Tra questi, il self serving biais, nonché la tendenza ad attribuire i nostri successi a fattori personali interni, imputando all’esterno la causa dei nostri fallimenti.

Perdere equivale a privarsi del proprio status sociale. Questo provoca rabbia e tensione nell’individuo che, nel costante tentativo di confrontarsi con l’Altro ne esce deluso ed emotivamente esaurito. Tuttavia, una volta riavvolto il nastro della performance, basterebbe una sana autocritica e l’accettazione della sconfitta per farci riacquisire la motivazione: è guardando ai progressi quotidiani e imparando a riconoscere i propri limiti che la sconfitta assume il gusto del dolce, e il fallimento diventa un tentativo. Se riuscissimo ad attribuire un nuovosignificato all’evento – modificando il concetto della percezione di perdita – la sconfitta diventerebbe il detonatore di un cambiamento e di una trasformazione necessari al raggiungimento di un ritrovato benessere. Lo conferma la psicologia dello sport canadese: più è elevata la capacità di accettare la sconfitta, maggiore sarà la possibilità di raggiungere l’obiettivo, tramite la messa in atto di strategie correttive volte ad assicurarsi la vittoria. In questo processo di risanamento neurologico, la corteccia cingolata anteriore riveste un ruolo centrale: ad essa si deve l’attivazione di una sensazione di allarme nell’individuo, che di fronte al fallimento sarebbe invaso da emozioni così negative da fare del suo meglio per non commettere errori; in altre parole, è insita nell’uomo una sorta di predestinazione neurologica che lo spingerebbe ad adottare le strategie di evitamento atte a preservare l’autostima.

Eppure, saper perdere fa bene all’umore. La psicologa Stephanie S. Smith, nel saggio The importance of losing suggerisce che imparare a perdere con grazia è importante per diversi motivi, ma forse la cosa più importante è che è solo una parte della vita. Alcuni di noi perdono molto, altri non così tanto, ma nessuno di noi vince sempre”. In pratica, dietro a ogni sconfitta si cela sempre un insegnamento. Ogni volta che perdiamo guadagniamo qualcosa. A confermarlo, l’antica dottrina taoista, per cui la dualità è ovunque. E dietro una sconfitta si nasconde sempre una vittoria. Alcuni si chiederanno: “quale?”. La risposta è nella crescita personale. È esperendo la sconfitta che la mente si apre, abbracciando nuove strategie da mettere in campo per arrivare alla meta. Per farla breve: o si vince o si impara. Sempre.