“L’OLIMPO DI CAMILLA” – Randagismo. L’odissea di Fido, dalla strada alle sbarre

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di Federica Camilla Parenti

“Il cane è un essere senziente” – stabilisce l’Enpa – “ha cioè sentimenti, il primo dei quali è l’attaccamento al gruppo sociale familiare. Dovremo fornirgli un gruppo stabile e assumerci la responsabilità di non sradicarlo mai dal suo gruppo famigliare. È indispensabile farci conoscere ed essere il suo punto di riferimento quando si apre la nuova porta di casa”. Eppure, come ogni anno, in estate – e in particolar modo con l’inaugurazione della stagione venatoria – la piaga dell’abbandono dei cani (e gatti) si fa sentire. Soltanto nel 2022, il rapporto LAV (Lega Anti Vivisezione) ha stimato oltre 600.000 cani randagi in Italia e 2,5 milioni di felini, con una differenza abissale tra Nord e Sud, dove la distribuzione di cani nei canili rifugio – a cui si somma il numero di quelli vaganti – è altissima, e la sterilizzazione sfiora appena il 2,4%. Un caso eclatante, quello dell’estate 2023, in cui ogni 24 ore, tra cessione e abbandono, più di 127 animali hanno perso il padrone.

Se a livello mondiale si stima che i cani di proprietà costituiscano appena il 10-20% del Pianeta, il restante 80% sarebbe rappresentato da cani vaganti, di cui la maggior parte “di proprietà”, sebbene incustoditi. Sarebbe allora più opportuno parlare di vagantismo. Difficile arginare il fenomeno, se non intensificando le misure preventive e di controllo: abbandono e nascita da animali in libertàsono le principali cause del problema in Italia, dove la maggior parte dei randagi non sono animali nati in strada; al contrario, si tratta di cani nati in casa e poi abbandonati on the road. Divergenze culturali di approccio, errato investimento di alcune risorse economiche, mancata applicazione di apposite leggi, errore di valutazione della mappatura canina su scala nazionale costituiscono i principali fattori alla base della disparità nel Paese.

Al Nord scarseggiano i branchi di vagabondi che si registrano al Mezzogiorno – dove la mancata sterilizzazione fa rima con prolificazione – cui si aggiungono i cani di proprietà che, pur avendo un padrone, sono lasciati incustoditi. Qui, non sono pochi i grandi centri abitati disposti a ospitare gruppi di amici a quattro zampe destinati alla strada e il randagismo è diventato una vera e propria emergenza: i cani errano nel territorio come pellegrini in cerca di vitto e alloggio, finendo spesso vittime di abusi e maltrattamenti, stipati nei “canili lager”, in cerca di una famiglia. Al Nord, un esemplare smarrito o abbandonato finisce più velocementeper essere recuperato, portato in canile, riconsegnato alla famiglia, adottato, o, nella peggiore delle ipotesi, destinato alla vita dietro le sbarre.

Senza contare il triste fenomeno della cessione, che negli ultimi anni si sta espandendo a macchia d’olio, a riprova del fatto che manca la consapevolezza di cosa significhi accogliere un animale tra le mura domestiche. È il ritratto di un’Italia spaccata in due, in cui sarebbe opportuno sensibilizzare le famiglie e far comprendere loro che aprire le porte a Fido significa anche accollarsi delle spese extra (come ad esempio il fare ricorso a un medico comportamentalista) di cui sarebbe opportuno tenere conto prima di compiere il passo: abbandonare un cane o cederlo dopo un anno perché troppo impegnativo da gestire è un atto egoistico, ricordiamoci che siamo davanti a un essere pensante.

Certo, oggi un randagio recuperato nel migliore dei casi ha salva la pelle: la legge del 1991 ne vieta l’abbattimento, salvo caso di malattia incurabile o comprovata pericolosità a danno di terzi. La norma contempla una rete assistenziale che coinvolge Comuni e Polizia Municipale. Un cane recuperato, se dotato di microchip viene riconsegnato alla famiglia, quello abbandonato (o non riconosciuto) è destinato al canile sanitario per poi fare il suo ingresso nel canile rifugio, dove nel peggiore dei casi finirà per spegnersi, a meno che l’umano impietosito non si accorga della sua presenza. Ma la situazione in canile è critica: sono moltissimi i pelosi che muoiono dietro le sbarre a causa di patologie mai curate. I veterinari della ASL, deputati alla somministrazione dell’ordinaria profilassi di vaccinazione e sverminazione non possono certo sobbarcarsi i costi dei test per le malattie infettive; l’investimento di denaro per le cure supplementari di Fido resta a carico dei volontari, del gestore del canile o del Comune delegato e non è raro che si tenda a rimandare il prelievo per mancanza di fondi. E intanto, i canili – inizialmente pensati come un luogo transitorio per i nostri amici a quattro zampe – finiscono per diventare la gabbia che li accoglie ad vitam aeternam, dietro le cui sbarre si perdono dignità ed equilibrio psicologico.

Quali misure, allora, per arginare il fenomeno? Sicuramente attuando una politica in cui prevenzione è la parola chiave. Il primo passo per contenere il fenomeno dell’abbandono e del randagismo resta l’iscrizione dell’animale all’anagrafe preposta, a seguito della quale viene dotato di un microchip munito di un codice identificativo riconducibile alle generalità del padrone. L’applicazione delle sanzioni stabilite dal nostro ordinamento – che punisce chiunque abbandoni animali domestici con l’arresto o con un’ammenda  – rimane la soluzione auspicabile in caso di abbandono, unitamente alla prevenzione tramite sterilizzazioni e campagne di sensibilizzazione atte a consapevolizzare i futuri padroni di Fido. In ultimo, l’abbattimento dell’IVA sulle spese veterinarie e sul pet food, l’incremento della quota delle detrazioni veterinarie dalla dichiarazione dei redditi(massimizzandola in caso di adozione), l’istituzione di bonus spendibili dal veterinario o per l’acquisto di scatolette di cibo, e perché no, un fondo solidale volto a realizzare interventi preventivi mediante il versamento di una quota da parte di coloro che scelgono di nonsterilizzare cane e gatto: un modo per disincentivare la nascita di cucciolate e attingere a risorse economiche che oggi scarseggiano.

Insomma, il quadro è drammatico, ma le proposte non mancano. Ricordiamoci che un animale che entra in casa non è un ninnolo da sfoggiare in società, né un gingillo destinato al trastullo. Un animale domestico rimane tale fino all’ultimo giorno, e in quanto essere senziente merita rispetto e devozione. Se Dio ha creato il gatto affinché l’uomo potesse accarezzare una piccola tigre, custodiamone l’anima con discreto garbo: solo allora, sapremo davvero cosa significhi amare incondizionatamente.