A trent’anni di distanza dagli eventi, le recenti dichiarazioni del cardinale Camillo Ruini sulla richiesta dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di far cadere il primo Governo di Centrodestra guidato da Silvio Berlusconi nel 1994 si presentano come un atto di criticabili opportunità e tempismo. Ruini ha scelto di parlare oggi, nel 2024, quando tutti i protagonisti della vicenda sono defunti (Scalfaro è scomparso nel 2012, Berlusconi nel 2023), rendendo impossibile un confronto diretto e sollevando interrogativi sulle sue reali intenzioni. È probabilmente la conferma più realistica e attendibile su uno dei tre cosiddetti “colpi di stato” che Silvio Berlusconi denunciò in perpetuo dal 2011, anno in cui fu costretto alle dimissioni da presidente del Consiglio, fino alla sua morte.
Tornando a Ruini, egli mette in luce una volta di più l’intricato e spesso opaco intreccio tra la politica e il potere ecclesiastico in Italia. Se le sue parole rispecchiano la verità, cosa che non è difficile da immaginare, è allarmante pensare che un Presidente della Repubblica nel pieno delle sue facoltà istituzionali, abbia cercato di influenzare il corso politico del Paese attraverso l’intervento di un alto prelato. Tuttavia, la scelta di Ruini di rompere il silenzio solo ora, con tutti i testimoni incapaci di confermare o smentire, getta un’ombra sul senso di questa tardiva confessione.
C’è da dire che l’elezione di Silvio Berlusconi nel 1994 ha certamente rappresentato un punto di rottura e di forte destabilizzazione nell’assetto politico italiano. La sua ascesa al potere ha provocato profonde divisioni e sfidato l’establishment politico tradizionale, forse anche alcuni settori della Chiesa. Il primo Esecutivo Berlusconi (durato comunque meno di un anno e conclusosi a seguito di un’inchiesta della Magistratura rivelatasi poi negli anni del tutto priva di fondamento, ma che ha cambiato la storia politica contemporanea del nostro Paese), è stato segnato da tensioni e conflitti interni, culminando con la sua caduta – come detto – nel dicembre del 1994. Questo periodo di turbolenza politica è stato caratterizzato da un clima incandescente, dove le manovre dietro le quinte, come quelle suggerite da Ruini, avrebbero potuto giocare oggettivamente un ruolo cruciale.
Criticare Ruini oggi non significa ignorare l’influenza storica e morale della Chiesa, piuttosto mettere in discussione l’appropriatezza di certi interventi ecclesiastici nella sfera politica. La Chiesa, pur avendo il diritto di esprimere le proprie posizioni, avrebbe dovuto e deve sempre evitare di farsi strumento di giochi di potere che ne minano la credibilità e ne offuscano il suo preminente ruolo spirituale.
È fondamentale ricordare che la politica italiana, già complessa e frammentata, non ha bisogno di ulteriori ingerenze esterne che ne aggravino le fragilità. Le rivelazioni di Ruini, sebbene possano essere viste come un tentativo di chiarificazione storica, rischiano di alimentare ulteriori polemiche e divisioni, sia pure nel Paese sia continuata a prevalere una visione conservatrice già da oltre un anno con l’insediamento a Palazzo Chigi – dopo oltre dieci anni di Governi Tecnici sostenuti ora dal Partito Democratico, poi dal Movimento Cinquestelle in tandem con la Lega – di un Esecutivo guidato dal Centrodestra e da Giorgia Meloni. In un momento in cui l’Italia deve affrontare sfide cruciali, sarebbe più utile focalizzarsi su un dialogo costruttivo piuttosto che riaprire vecchie ferite con dichiarazioni tardive e difficili da verificare come quelle che ci occupano oggi.
L’intervento di Ruini, le sue esatte parole, pur se potenzialmente veritiere, giungono troppo tardi nel tempo per essere utili al dibattito pubblico, rischiando di alimentare divisioni e incomprensioni anziché promuovere una riflessione costruttiva sulla storia recente del nostro Paese. Dunque dannose e perfino inutilmente pericolose. Per dovere di estrema sintesi, a tratti perfino vili.