Oggi, 17 giugno 2024, ricorre il quarantunesimo anniversario di uno degli episodi più oscuri e vergognosi della storia giudiziaria italiana: l’arresto infamante di Enzo Tortora. Quel giorno del 1983, il celebre presentatore televisivo fu strappato alla sua vita, alla sua carriera e alla sua dignità con accuse infondate e infamanti. Tortora venne accusato di associazione camorristica e traffico di droga, trascinato in un incubo giudiziario che rivelò crepe profonde e inaccettabili nel nostro sistema giudiziario, minando alla radice la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Le accuse contro Tortora si basavano su testimonianze di pentiti di dubbia affidabilità, personaggi ambigui pronti a vendere la propria parola per ottenere sconti di pena. E cosa fece la magistratura? Invece di operare con il rigore e la prudenza necessarie in un caso così delicato, si gettò a capofitto in una caccia alle streghe, accecata dal desiderio di fama e riconoscimento. Il risultato? Un uomo innocente, un simbolo della televisione italiana, trattato come un comune criminale, umiliato pubblicamente e incarcerato senza uno straccio di prova concreta.
Le dichiarazioni di Tortora durante questo calvario furono struggenti e rivelatrici. “Io sono innocente e lo griderò fino alla morte,” disse in un’aula di tribunale, parole che risuonano ancora oggi come un monito contro l’arroganza e la superficialità di certi magistrati. Quando finalmente fu assolto nel 1987, dopo anni di sofferenze e lotte, il danno era già stato fatto. La sua salute era irrimediabilmente compromessa, la carriera distrutta, la vita devastata.
La vicenda Tortora dovrebbe essere studiata nelle scuole e nelle Facoltà di Giurisprudenza di tutta Italia come esempio paradigmatico di ciò che accade quando il potere giudiziario perde il contatto con la realtà e con i principi fondamentali di giustizia ed equità. Ma invece di un’umile riflessione e di un’assunzione di responsabilità, cosa vediamo? Magistrati che si autoassolvono, che nascondono le proprie colpe dietro il paravento di una presunta infallibilità.
È giunto il momento di pretendere risposte e giustizia non solo per Enzo Tortora – ormai non più tra noi – ma per tutti coloro che come lui sono stati vittime di un sistema giudiziario che ha fallito nel suo compito più sacro: proteggere gli innocenti e punire i colpevoli. Non possiamo permettere che il sacrificio di Tortora sia stato vano. La sua storia deve essere un monito per tutti noi: vigilare, denunciare e non accettare mai passivamente l’ingiustizia, soprattutto quando essa proviene da coloro che dovrebbero essere i suoi più strenui difensori.
La memoria di Enzo Tortora deve restare viva, come un’eterna accusa contro l’arroganza e l’incompetenza di una parte della Magistratura che, con il suo errore madornale, ha inflitto un colpo mortale alla Giustizia italiana. Che questo anniversario serva non solo a ricordare la sua sofferenza, ma anche a esigere una riforma profonda e ineludibile del nostro sistema giudiziario, affinché simili tragedie non si ripetano mai più.