Altro che Terzo Polo o presunto tale, altro che alleanza con Azione di Carlo Calenda. Matteo Renzi ha perfettamente compreso che questo piccolo recinto centrista ricavato sgomitando per posizionarsi in una stretta intercapedine politica che va da Forza Italia ai settori meno estremisti della sinistra, lo relega comunque in una posizione marginale nello scacchiere politico.
L’Italia si sta nuovamente polarizzando: è l’eredità lasciata all’Italia da Silvio Berlusconi, vale a dire un bipolarismo vero e organizzato, nato nel 1994, con la conseguente alternanza centrodestra-centrosinistra. Tolta questa parentesi a tempo caratterizzata dalla presenza dei Cinquestelle, che sono degli autentici sfascisti dello Stato Democratico nati da un “Vaffanculo” in piazza urlato dal suo vero capo Beppe Grillo, e finito con la candidatura alla Camera di Luigi Di Maio con il centrosinistra alle Politiche dello scorso settembre (mancata l’elezione, Di Maio è stato indicato quale rappresentante dell’Unione Europea nel Golfo Persico, vale a dire un paracadute d’oro), il bipolarismo torna a riformarsi.
I Cinquestelle, solo sulla carta oggi guidati dall’ex premier Giuseppe Conte, sono ufficialmente transitati verso un Partito Democratico che con l’elezione di Elly Schlein si è definitivamente spinto pericolosamente a sinistra, lasciando libero un interessante spazio al centro che adesso fa gola a molti, specie dopo la scomparsa del fondatore di Forza Italia, che l’area di centro l’ha sempre presidiata strenuamente.
È sicuramente a questo spazio politico che ambisce Matteo Renzi, e le ragioni di questo suo disinteresse progressivo verso Calenda vanno ricercate indietro nel tempo: l’incontro al Nazareno tra l’allora segretario del Pd Renzi ed il leader del centrodestra Silvio Berlusconi, incontro avvenuto proprio nella sede del Pd al Nazareno il 18 gennaio 2014 – a cui ne seguì un secondo a Palazzo Chigi il 14 aprile dello stesso anno – testimoniano che i due leader fin dal primo momento non si consideravano nemici l’un l’altro, ma solo dei momentanei avversari che avevano deciso di scrivere insieme le regole del gioco: la Riforma della Costituzione. Poi andò come andò, con il mezzo “tradimento” di Renzi che con una trattativa in corso con Berlusconi, si mise in testa di decidere da solo il nome del presidente della Repubblica che fu poi indicato ed eletto il 31 gennaio 2015.
Il nome fu quello di Sergio Mattarella, verso il quale lo stesso Berlusconi aveva più volte espresso apprezzamento, ma che non votò in Parlamento per via dell’imposizione del segretario Pd Renzi. Motivo per cui si ruppe ogni dialogo con la conseguente frenata delle iniziative sulle riforme, poi tentate in solitaria da Matteo Renzi con un referendum celebratosi il 4 dicembre 2016.
Renzi perse, rimangiandosi la promessa secondo cui avrebbe dovuto “lasciare la politica” se avesse perso (si dimise però da Palazzo Chigi), le riforme non si fecero, Berlusconi fece campagna per il “No” alle riforme proposte dall’allora Governo di centrosinistra ma non abbandonò mai l’idea che Renzi potesse in qualche modo divenire, magari nel tempo, un interlocutore “di questa metà campo”, come amava dire il Cavaliere, che in una recente intervista prima della sua scomparsa ebbe a definire lo stesso Renzi “intelligente e simpatico”.
Dal canto suo Renzi ha da sempre cercato di capitalizzare questa predisposizione naturale del leader Berlusconi nei suoi confronti. Adesso non c’è più, il cosiddetto “effetto Silvio” sul consenso di Forza Italia è finito, il partito azzurro si attesta attorno ad un residuale sia pur ragguardevole 6%.
Il segretario politico del partito di cui fu presidente Berlusconi adesso è Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepremier di Giorgia Meloni, almeno fino al congresso del partito che si celebrerà il prossimo anno. Dunque, cosa accadrà da qui alle Europee ed oltre?
Da questo minuzioso ma privilegiato osservatorio siamo pronti a scommettere che il passaggio graduale di Matteo Renzi al centrodestra sarà obbligato per almeno due ordini di motivi. Il primo: con Carlo Calenda e con Azione non vi è alcuna affinità, di nessun tipo: una condizione più volte sottolineata da entrambi. Il secondo motivo: gli scricchiolii più forti sono recentissimi, e Calenda li ha palesati in un’intervista a SkyTg24, accusando l’ex premier di strizzare l’occhio ai partiti che sostengono il Governo, Forza Italia in primis, tanto da ipotizzare un passaggio del partito di Renzi tra i banchi della maggioranza.
“Credo che Italia Viva (il partito di Renzi, nda) stia tenendosi le mani libere per fare un ragionamento con la maggioranza”, è il sospetto avanzato da Calenda. “Lo suppongo da quello che vedo: la difesa a oltranza del ministro Daniela Santanchè di Fratelli d’Italia, il voto con il Governo sulla carne sintetica fatto seguendo pedissequamente Francesco Lollobrigida. Non so cosa vogliano fare, ma vedo segnali da molto tempo di slittamento verso destra”. Il terzo motivo: a Renzi interessa sì occupare l’area di centro politico che adesso si ritrova orfana di personalità all’altezza, ma il centro del centrodestra. Editoriale pubblicato sul quotidiano Italiachiamaitalia.it lo scorso lunedì 24 luglio 2023