Nell’avvicinamento alle elezioni del Presidente della Repubblica, l’attenzione – e, per alcuni, anche lo scandalo – è tutta sul nome del candidato proposto dal centrodestra: quello di Silvio Berlusconi (che ha momentaneamente rinunciato alla corsa verso il Colle, ndr). Divisivo, impresentabile, pluricondannato, sono solo alcuni dei commenti fioccati in queste ore sul Cavaliere, il quale, da parte sua, deve ancora sciogliere le riserve. Ora, senza entrare nel merito di tale candidatura, c’è un fatto che non può essere contestato: il centrodestra sta giocando a carte scoperte.
Invece nel M5S e ancor più in casa Pd si sta optando per una strategia che, se è di dubbia efficacia (chi vivrà, vedrà), ha pure un altro limite: è poco trasparente, se non disonesta. Sì, perché richiamar la necessità, come ha fatto Enrico Letta, segretario dem, d’una figura «super partes in continuità con Mattarella», significa non raccontarla giusta. Anche i più convinti estimatori del Presidente uscente non possono certo negare che, prima d’essere eletto, Mattarella aveva in tasca una tessera di partito: quella del Pd.
E cosa dire di Giorgio Napolitano? Fu pezzo da novanta del Partito Comunista italiano, del quale era sostanzialmente il ministro degli Esteri, salvo poi confluire nei Ds. Anche senza volere esaminare criticamente gli ultimi mandati – sui quali, specie per Napolitano, non sono mancati passaggi francamente inaccettabili (basti un nome: Eluana Englaro) -, non si può non vedere come, da oltre 15 anni, la sinistra abbia piazzato al Colle suoi fedelissimi; che poi costoro abbiano onorato la carica, è un altro discorso.
Il punto è che – tanto più ora che non hanno i numeri per eleggerselo, ma solo per sognarselo, un candidato – a sinistra non possono invocare un Presidente «super partes», cioè loro. O meglio, possono farlo benissimo, ci mancherebbe. Però è un trucco vecchio come il mondo, non ci casca nessuno. Meglio farebbe quindi, il buon Letta, ad abbandonare queste strategie che non attaccano e mettersi il cuore in pace. Stavolta al Colle lui e il suo partito possono al massimo essere decisivi, ma non saranno decisori. Se ne facciano una ragione.