di Paola Di Caro
Più d’uno, in una Forza Italia sottoposta a un improvviso e clamoroso stress-test, crede che Salvini, con la collaborazione degli azzurri a lui più vicini come la Ronzulli e il gruppo dei fedelissimi, abbia fatto cadere in una trappola Berlusconi. Che lo abbia sedotto, con la promessa di sostenerlo in una pressoché impossibile corsa al Quirinale, e convinto a cedergli la sua creatura. Prima creando gruppi parlamentari unici Forza Italia-Lega, poi una federazione e infine l’approdo che già si intravede ad un partito unico, utilissimo al leader leghista per la sfida della leadership con la Meloni, molto meno agli azzurri per mantenere una propria identità, essere ancora un punto di riferimento dei moderati, anche solo per l’appartenenza al Ppe, che rende il partito il garante di una linea europeista del centrodestra. E così ieri la guerra in FI, sempre più profonda soprattutto tra l’ala governativa e quella del ristretto giro che ha accesso al Cavaliere, è esplosa con scambio di colpi, affondi, narrazioni e contro-narrazioni.
Due cose sono indubbie: Salvini da tempo porta avanti la sua proposta di federazione, finora sempre respinta dal Cavaliere. Gliel’ha riproposta anche nel loro primo incontro dopo la nascita del governo Draghi, trovando però sempre freddezza, attesa, cautela. Ieri, a sorpresa, Berlusconi è tornato a palesarsi con i suoi aprendo invece al progetto. Addirittura sognando per il futuro «un partito unico».
Un’uscita che ha disorientato quanti ritengono che Forza Italia non possa «morire leghista», salvaguardando solo la rendita di posizione dei fedelissimi che verrebbero cooptati da Salvini.Dall’inner circle del Cavaliere c’è chi rovescia la teoria, spiegando che è Berlusconi quello convinto di «usare Salvini», perché il suo obiettivo, l’unico che ha in testa «da anni», sarebbe uno solo: il Quirinale. E certamente Berlusconi ascolta interessato chi gli dice che, se il centrodestra sarà compatto, per essere eletto presidente della Repubblica gli mancherebbero «solo 50 voti» per raggiungere la meta. Conquistabili grazie a qualche delegato regionale dall’altra parte della barricata, qualche grillino in ordine sparso e soprattutto Renzi e i suoi.
Ma l’impresa è al limite dell’impossibile e quanto davvero ci creda Berlusconi è difficile da dire. Sono ancora aperte le sue vicende giudiziarie, che lo tormentano, anche se la speranza è che verranno a cadere se a Strasburgo gli daranno ragione. E oggi molti azzurri lo avvertano che c’è un rischio di massicci abbandoni verso il centro, dei quali forse «a Ronzulli e Tajani e Bernini non interessa», ma che significherebbero la morte di FI. Lui non crede che i suoi lo abbandonino: «E dove vanno? Con Calenda che ha l’1%? Con la sinistra, per morire? Con Toti, a fare che? Resteranno nel centrodestra». E forse le lunghe discussioni con Salvini lo hanno lusingato, perché è vero che se quello che diventerebbe di gran lunga il primo gruppo parlamentare proponesse il suo nome per il Quirinale, se la Meloni lo sostenesse, una possibilità ci sarebbe. Ma è uno scenario verosimile? In Parlamento praticamente nessuno ci crede.
Certo l’operazione convincimento è in corso. Salvini ha lanciato ieri la sua proposta di Federazione del centrodestra proprio sul quotidiano di casa Berlusconi, Il Giornale. E sempre ieri Antonio Tajani ha incontrato il candidato della Meloni per Roma, Enrico Michetti, e a differenza dei giorni scorsi è apparso aperturista: «Aspettiamo i sondaggi, ma non abbiamo preclusioni, non vogliamo fare dispetti a nessuno…». E il lavorìo sotterraneo è in corso, se è vero che si parla di gruppi di Lega e FI fusi e guidati alla Camera da Molinari del Carroccio e al Senato dall’azzurra Bernini, che ha avuto ieri un duro scontro con la Carfagna: «Guardate che se fate così ne perdiamo 50», ha avvertito la ministra. «E’ una minaccia mafiosa?», la replica. «No, io la mafia la conosco», e la Bernini: «Beh, io per fortuna no».
Questo è il clima, con Tajani che ieri non si è esposto e adesso frena: «Non pensiamo ad un partito unico, ma un maggiore coordinamento, una specie di Casa delle Libertà. Nessuno pensa di sciogliere il partito». Magari anche perché la resistenza di Gelmini, Carfagna, di deputati e senatori semplici come la Giammanco, dell’area più moderata di FI è stata veemente. Tanto che le stesse ministre sembrano convinte che Berlusconi, dopo le rimostranze, abbia già fatto qualche passo indietro. La storia è ancora tutta da scrivere, insomma. E la battaglia resta aperta. Corriere della Sera