di Francesco Storace
E’ presto per invocare Silvio santo subito. Ma è già evidente che se per lunghe ore la tendenza di twitter sbalza al primo posto il nome di battesimo di Berlusconi, questo indica con eloquenza lo straordinario rapporto che c’è ancora tra lui e gli italiani (e non solo). Alla sua bella età, con tutti gli acciacchi che la vita ti para davanti. Tutti devono levarsi il cappello di fronte ad un binomio inscindibile col popolo. Che vale quando quel popolo manifesta amore e quando vomita odio. Berlusconi c’è per tutti, aficionados e hater. Non si può fare a meno di lui. Il Paradiso e Nostro Signore possono attendere, perché ha ancora parecchio da fare quaggiù.
Il predellino edizione 2008 resta la dimostrazione più plastica del fortissimo legame tra Silvio e la gente. Ricordo benissimo quella stagione, non seguii il suo intuito, e lo pagai politicamente. Ma che razza di leader fosse ancora, con il fiuto che lo ha sempre contraddistinto, lo dimostrò anche la scelta del nome del partito che fondò. Popolo della libertà, appunto, e non partito. Io e la gente. Un connubio diretto, non devastato dagli apparati. Ercolino sempre in piedi, potremmo dire di un ricco signore milanese che si è costruito da solo il suo impero finanziario, mediatico-culturale, politico – e che ne ha passate davvero tante da quando ha deciso di «scendere in campo». Un autentico sovversivo che ha squassato la politica e i suoi riti. E quante volte ci ha fatto penare per le sofferenze fisiche. Le sue sembrano contaminare le persone comuni.
Pure ieri i telefonini bollivano di messaggi: «Ma come sta», mi scrive un amico che ha una tabaccheria ai Parioli, «qui arrivano brutte notizie». Macché, Ercolino è sempre in piedi. Quante volte gliel’hanno tirata, quelli che gli vogliono male, salvo poi pentirsene nel sapere che la situazione precipita. E ogni volta riemerge lui, con quel ghigno da ragazzino impertinente. E chi si scorda quella statuetta in faccia a piazza Duomo, il terrore di giocarcelo per sempre per un pazzo che giocava a fare l’eroe della rivoluzione. Ancora prima, il “turista” che gli scaraventò addosso il treppiedi di una macchina fotografica in piazza Navona. Gesti insensati. Conseguenze di campagne di odio ingigantite dalla sinistra e dai suoi media negli anni ruggenti. Ma anche il suo fisico, troppe volte messo alla prova della fatica. Ci fece strabuzzare gli occhi quel malore a Montecatini, durante un comizio, lo svenimento, vederlo portare via a braccia. E poi, rieccolo, come un fringuello. Le durezze della vita, come la battaglia (vinta) contro il tumore raccontata in un’intervista e il calvario del Covid, di cui ancora porta con sé i postumi. Ogni volta semina paura per la sua sorte. Ma Silvio è fatto così. Ci seppellirà tutti. D’altronde la canzone ha per titolo “meno male che Silvio c’è”. Mica “c’era”. Tiè, Travaglio! Il Tempo