Ma quale calciatore, Paolo «Pablito» Rossi è stato anzitutto un liberatore. La gioia che inondò l’Italia dopo il Mundial del 1982, di cui fu l’eroe, fu infatti un formidabile spartiacque storico tra l’Italia degli anni Settanta e del terrore – ancora nel 1980 ci furono Ustica e la strage di Bologna, mentre nel 1981 vennero i proiettili di Ağca contro papa Wojtyła -, e l’Italia yuppie degli Ottanta, quella della Milano da bere, di Drive In e di un’illusione che sarebbe stata spazzata via dopo un decennio con Tangentopoli, Capaci e Via d’Amelio.
Per questo il fuoriclasse oggi scomparso va omaggiato: per i suoi meriti calcistici, certo, ma soprattutto per quelli civili e morali. Non era per facile prendere a pedate un pallone insieme ad un passato da lasciare alle spalle: eppure Rossi ce la fece, eccome. E tutte quelle sue reti, riviste oggi che l’Italia sembra affondare trafitta anzitutto dai suoi autogol, hanno il sapore della nostalgia per chi c’era ma pure della speranza per chi, come chi scrive, non c’era ancora. Ed è grato per quello straordinario messaggio: anche quando vieni dato perdente tutto è possibile, se tiri fuori il «Pablito» che è in te.