di Silvio Berlusconi
Caro direttore,
come il Corriere ha diffusamente spiegato in questi giorni, Forza Italia ha deciso di rispondere positivamente all’appello del Capo dello Stato alla collaborazione istituzionale. È una scelta per noi naturale, addirittura scontata, come è scontato che non si tratta di sostegno politico ad un governo che non approviamo e ad una maggioranza i cui valori e i cui programmi sono incompatibili con i nostri. Ma proprio dai nostri valori, che sono quelli liberali, cristiani, europeisti, garantisti, nasce per noi il dovere della responsabilità verso gli italiani e quindi della disponibilità a dare una mano, dall’opposizione, per far uscire l’Italia dall’emergenza nella quale ci troviamo. È persino superfluo aggiungere che questo non mette in discussione la nostra appartenenza al centro-destra, che non soltanto è la nostra casa, una casa che noi abbiamo fondato e fatto crescere anche a costo di grandi sacrifici, ma che senza di noi non potrebbe mai vincere e tantomeno governare. Non è pensabile, in un grande Paese europeo, un centro-destra di governo che non abbia una forte caratterizzazione liberale.
Si tratta invece di essere consapevoli del fatto che l’Italia si trova nel mezzo di una crisi drammatica, una crisi sanitaria ed economica senza uguali almeno dal dopoguerra. È una situazione di emergenza che riguarda il mondo intero, ma che in Italia si innesta su una serie di problemi storici, di debolezze e diseguaglianze strutturali, di contraddizioni irrisolte. Semplificando, la situazione è questa: coloro che sono già garantiti — il lavoro dipendente, il pubblico impiego — in qualche modo continuano ad essere garantiti, almeno per il momento, in questa crisi. Coloro che non erano garantiti prima, il lavoro autonomo, i commercianti, gli artigiani, i professionisti, i piccoli e piccolissimi imprenditori, le partite Iva, i lavoratori a contratto, oggi rischiano di essere abbandonati a sé stessi. La rabbia, il dolore, la disperazione che scorgiamo negli occhi di molti — che vedono vanificata l’attività di una vita, i sacrifici fatti, la speranza di un futuro per sé e per i propri figli — sono sentimenti che non solo condivido, ma richiedono risposte concrete e urgenti.
Non voglio creare equivoci: non penso affatto che i lavoratori dipendenti siano dei privilegiati. Le tutele di cui godono sono sacrosante, frutto di un’evoluzione storica di decenni, di lotte e di sacrifici che meritano assoluto rispetto. La stragrande maggioranza di loro lavora duramente e seriamente, nel pubblico e nel privato. Da imprenditore ho avuto migliaia di collaboratori e conosco bene lo straordinario valore che essi costituiscono per un’azienda. Proprio per questo però non ci possono essere due Italie, una che si salva, l’altra — quella del lavoro autonomo — che deve cavarsela da sola, oppure viene lasciata affondare. Anche perché l’una senza l’altra a lungo andare non regge. Quello che chiediamo al governo e alla maggioranza è di sanare questa disparità, garantendo al lavoro autonomo, ai professionisti, ai commercianti, agli artigiani, alle partite Iva, tutta la tutela necessaria, non una tantum ma in modo strutturale. È una delle condizioni per votare insieme i prossimi «discostamenti» di bilancio.
Questo si ottiene in vari modi, primo fra tutti il semestre bianco fiscale: la sospensione di tutti i pagamenti verso lo Stato per queste categorie almeno fino al 31 marzo 2021. Ma naturalmente questo non basta, per chi ha perso tutto o gran parte del lavoro. La nostra proposta è di assegnare un indennizzo, pari ad una quota importante del reddito dichiarato nell’anno precedente, per i mesi di forzata inattività o di grave riduzione dell’attività. Una tutela simile a quella giustamente assegnata ai lavoratori dipendenti che perdono il lavoro o che sono messi in cassa integrazione.
C’è di più. Circa 2 milioni di liberi professionisti iscritti alle casse previdenziali private e alla gestione separata Inps sono stati le uniche partite Iva escluse dal contributo a fondo perduto di maggio e, quindi, pure dalle sue riedizioni nei recenti «decreti ristori». Per loro, bisogna garantire entro la fine di quest’anno un’indennità significativa, adeguata al fatturato perso, a titolo forfettario.
Come si finanzia tutto questo? Naturalmente purtroppo a debito. Purtroppo, perché lo stiamo mettendo a carico delle generazioni future. Ma è un debito «buono» non soltanto per ragioni di equità, ma soprattutto perché se non usciamo tutti insieme da questa fase drammatica il futuro potrebbe non esserci per nessuno. Per ottenere tutto questo siamo pronti ad assumerci la responsabilità di lavorare, per il bene del Paese, con un governo molto lontano da noi. Mi piacerebbe che lo volesse fare l’intera opposizione, senza confusione di ruoli con la maggioranza. Corriere della Sera