Se la libertà si ferma alla minigonna

Sharing is caring!

di Giuliano Guzzo

Meglio non indossare le gonne troppo corte, altrimenti «a qualche prof cade l’occhio». Questo l’invito che la vicepreside del liceo romano Socrate avrebbe rivolto l’altro giorno ad alcune studentesse del penultimo anno che, appunto, indossavano la gonna corta. Ne è nata una polemica che ha visto il collettivo scolastico Ribalta femminista organizzare una protesta, con gli studenti che si sono presentati a lezione – tutti, non solo le ragazze – in minigonna o comunque in pantaloncini corti.

Il caso è diventato addirittura nazionale ed è intervenuta perfino il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, intenzionata ad inviare nel liceo un’«ispezione», anche se volta ad accertare che cosa, esattamente, non è chiaro. Ora, anche senza voler entrare troppo nel merito di quest’episodio – che vede sotto accusa la vicepreside, tacciata di essere una fiancheggiatrice del patriarcato -, si può comunque trarre spunto ad esso per sviluppare alcune rapide riflessioni utili, forse, anche a chi non frequenta questo istituto della Garbatella.

La prima riguarda il rispetto dei luoghi e delle istituzioni: esiste ancora? Apparentemente no. Infatti è possibile assistere a studenti che non al liceo ma addirittura all’università vanno a sostenere esami con la camicia hawaiana, i pantaloncini corti, le ciabatte infradito e così via. Trattasi di vero progresso? E se non lo è, come rimediare a questo stato di cose insegnando ai giovani già alle superiori, anzi anche prima, che la scuola non è un bivacco né una passerella bensì, appunto, una istituzione che comporta un minimo di decoro?

Riflessione numero due. Se siamo dell’avviso che la vicepreside del Socrate abbia detto una sciocchezza, accettiamo pure l’idea che a qualche insegnante – senza che questo ne faccia uno stupratore – cada davvero «l’occhio» sulle gambe di qualche studentessa di 16 o 17 anni, la cui corporeità è di gran lunga più prossima a quella adulta che non a quella di una bambina? E se questa seconda idea non ci convince, non ci stiamo forse infilando in una contraddizione tale per cui da un lato è bello vestirci come ci pare e, dall’altro, guai a chi ci squadra?

Il terzo ed ultimo spunto riguarda la sovrapposizione tra minigonna e libertà, che non investe solo le studentesse romane ma è ormai un po’ un simbolo dell’Occidente rispetto, per esempio, alla cultura islamica, dove i veli la vanno da padrone. Rispetto a questo, è possibile ricuperare – non solo per le giovani, ma anche per i maschietti – un discorso sul pudore senza passare per aspiranti imam? E soprattutto: non è riduttivo e limitante liquidare l’impegno educativo adulto – non solo nell’abbigliamento, ma in tutto – nel «fai come ti pare»?

Non c’è cioè il rischio che questo permissivismo, più che un inno alla libertà, altro non sia che menefreghismo verso giovani che avrebbero bisogno di valori, guide e orizzonti? É un dubbio che francamente viene. Per un motivo semplice: lasciar totalmente liberi ragazzi e ragazzi è facile: basta, appunto, lasciar fare. Invece provare ad indirizzarli verso determinati valori, soprattutto di questi tempi, richiede un impegno e, prima ancora, la capacità di dar ragione di ciò che si vuol trasmettere. Ed è proprio la capacità di testimoniare i valori più belli, forse, quello di cui oggi si avverte maggiormente l’assenza.