Sono momenti difficili per Vittorio Cecchi Gori, che nei giorni scorsi è stato condannato per il crac Safin. La sentenza definitiva della Cassazione ha confermato la pena detentiva inflitta al produttore dalla Corte d’Appello di Roma nell’ottobre 2018 e in queste ore i carabinieri del Nucleo Investigativo hanno notificato all’uomo l’ordine di esecuzione per la carcerazione.
La quinta sezione penale della Cassazione non ha ammesso il ricorso del pool difensivo di Vittorio Cecchi Gori contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma. In quell’occasione, i giudici avevano ridotto la pena di 6 anni inflitta al produttore in primo grado, vista e considerata la prescrizione di uno dei reati contestati in principio al produttore.
A Vittorio Cecchi Gori vengono attribuiti alcuni reati finanziari, tra i quali la bancarotta fraudolenta. La condanna si rifà al fallimento per un valore di circa 24 milioni di euro della Safin Cinematografica. Per questo motivo al produttore sono stati accordati 5 anni e 6 mesi di reclusione. I motivi che hanno portato alla condanna definitiva di Vittorio Cecchi Gori e di altri imputati sono da ricercare nella non interrotta gestione della società fino al 2007. Tutto questo nonostante la Safin fosse già fuori dal gruppo madre da oltre 6 mesi, visto che la capogruppo Finmavi era già stata dichiarata fallita.
La vicenda giudiziaria collegata al crac di Safin Cinematografica si protrae da quasi di 10 anni. La prima condanna per Vittorio Cecchi Gori è stata nel 2011, quando il produttore è stato costretto alla reclusione domiciliare per la bancarotta fraudolenta della Finmavi e di altre realtà societarie dello stesso gruppo. Facendo un passo indietro, già all’inizio degli anni Duemila il produttore era stato al centro delle cronache giudiziarie. Nel 2002, infatti, gli venne notificata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il fallimento della Fiorentina. IlGiornale