È vero che ieri è nato il governo Conte?
«Veramente, è nato il 1° giugno. E io sono stato premier dal primo giorno, e fin dall’inizio ho avuto consapevolezza del ruolo che andavo a ricoprire».
Formalmente sì, ma non molti la vedevano così. Prima era il governo Di Maio-Salvini con lei esecutore. E poi, dopo l’accordo con l’Europa, le opposizioni hanno parlato di manovra sotto dettatura di Bruxelles.
«Guardi, io a certe cose non faccio molto caso. Dovevo portare a casa un risultato importante per l’Italia: evitare l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo. L’ho fatto e ne sono felice per il mio Paese. Quanto al mio ruolo, in certi passaggi è necessario enfatizzarlo, altre volte preferisco operare sintesi in maniera più discreta».
Seduto al tavolo di Palazzo Chigi dove la sua maggioranza ha scritto e poi corretto la manovra finanziaria che ha tenuto in bilico governo e opinione pubblica per settimane, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, appare soddisfatto. Confessa di non avere dormito la notte tra lunedì e martedì, perché il fantasma del «partito del rigore» era riapparso proprio nelle ore finali della trattativa. Ma ieri mattina la tensione si è sciolta: la Commissione europea gli ha dato quel «placet» che appena due settimane fa appariva impossibile.
Non si può dire che foste partiti col piede giusto, tra Roma e Bruxelles.
«È stata una trattativa con alti e bassi, che ho cercato di affrontare con perseveranza e tenacia. Sapevo di dover raggiungere un obiettivo utile al mio Paese. E ho cercato di perseguirlo sapendo che c’erano condizioni non solo tecniche ma politiche delle quali tenere conto nell’interesse del Paese».
Un po’ più di umiltà all’inizio da parte dei suoi due vicepremier non ci avrebbe risparmiato spread in ascesa e miliardi di euro bruciati?
«Guardando le cose in retrospettiva, non credo che toni meno dialettici avrebbero dato all’Italia quel 2,4 per cento che ci eravamo prefissati all’inizio».
No, ma magari sareste arrivati al 2,04 per cento senza creare e crearvi problemi.
«Difficile a dirsi col senno di poi. Il nostro obiettivo era quello di poter procedere con una manovra che riflettesse quanto era, a nostro avviso, nell’interesse dei cittadini. Non credo che, affidata a un tono più dialogico, questa soluzione avrebbe ricevuto solo per questo il pieno sostegno della Commissione europea».
E dalla trattativa che lezione ha tratto? Quando si ha davanti l’Europa servono più i pugni sul tavolo o la testa?
«Con l’Europa bisogna dialogare, sempre. E questo mi pare di averlo fatto con ostinazione. Ma bisogna anche farlo senza rinunciare al proprio programma politico e ai propri obiettivi».
L’intesa allunga o accorcia la vita al suo governo?
«Spero che migliori la vita del Paese, oggi e per i prossimi anni. Mi preme questo».
I sondaggi continuano a dare una Lega in ascesa, e Matteo Salvini prenota Palazzo Chigi. È pronto a cederglielo dopo le Europee?
«Onestamente no, non sono pronto a questo passaggio delle consegne. Ma non perché tenga alla poltrona. Questo governo è frutto di un impegno con gli italiani per realizzare un progetto riformatore che richiede tempo ed energie per l’intero arco della legislatura».
Ha colpito che ieri, in Senato, lei non avesse accanto né Di Maio né Salvini, ma i ministri tecnici Giovanni Tria e Enzo Moavero.
«Erano assenti giustificati».
Giustificati perché sono i perdenti della trattativa?
«No, inutile ricamare su problemi inesistenti. Avevano impegni istituzionali e mi avevano avvertito che non potevano essere presenti».
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