Roma «Mi faranno un processo? Vuole la verità? Non me ne frega niente». Il comandante Gregorio De Falco non perde mai il sorriso e alterna ironie fulminanti a frasi taglienti. Al bar del Senato si rilassa con un bicchiere d’acqua minerale e scherza: «Non mi pare che ci sia scritto da qualche parte che nel Movimento non c’è libertà di parola? O no? Fatemi vedere questo codicillo, che non me lo ricordo». Poi risponde al consigliere toscano Giacomo Giannarelli che in un whatsapp si appella al suon buon senso: «Ma quale buon senso, perché dovrei tirarmi indietro?».
Comandante, la nave si è incagliata. Se votate contro il decreto sicurezza, il governo rischia di cadere.
«Me lo ha scritto anche Di Maio in un messaggio: Gregorio, non fare cadere il governo. Ma scusate, pensate davvero che un governo possa cadere per De Falco? Sung nu fiss? Con tutti i condoni, la Tap, la Tav, la Bce, pensate che caschi con i miei emendamenti?».
Le hanno chiesto di ritirarli?
«Di Maio mi aveva mandato molti messaggi amichevoli. E l’altro giorno ho incontrato anche il premier Conte. Gli ho spiegato che da 24 emendamenti scendevo a 8 e poi a 6, il minimo indispensabile. Perché ci sono profili di incostituzionalità nel decreto».
E Conte che le ha detto?
«Mi è sembrato che fosse d’accordo, anche se ha chiesto tempo per studiare meglio. In un caso bastava cambiare una virgola».
Come le è sembrato il premier?
«Ha un’intelligenza vivace, mi ha impressionato la rapidità del pensiero. Il problema è che lo sta traducendo in atti concreti. È un neofita, come me. Forse serviva più esperienza. Cerca di mediare e sintetizzare le posizioni».
Ma alla fine è Salvini che prevale. È stato un errore fare un governo con lui?
«Io sono stato un sostenitore del governo con la Lega. Perché noi eravamo al 32 per cento, loro al 17. Poi la realtà si è capovolta. Il problema non è Salvini, siamo noi. Che siamo gli azionisti di maggioranza e non ci facciamo valere».
Avete parlato in assemblea di questo decreto?
«Il problema delle assemblee è che non hanno un ordine del giorno preciso. Ho chiesto che si discutesse dello status dei porti, che la commissione Ue considera delle imprese. E ho scritto a Toninelli per un parere. Niente, non mi ha risposto. Poi ha fatto sapere che si può discutere dello status: ma come, tutto questo parlare di sovranismo, di acqua pubblica, di autostrade pubbliche e poi l’acqua del mare diventa privata?».
Lei che è ischitano, come l’ha preso il condono?
«Lasciamo perdere i condoni. Il precedente era stato durissimo per il futuro. E invece. Da noi è tutto costruito, altro che muratori bergamaschi: gli ischitani sono bravissimi a costruire case da tre piani in tre giorni».
Torniamo al decreto.
«Dal 2 ottobre abbiamo chiesto tre volte di parlarne. Non c’è stata risposta».
Hanno messo in giro la voce che lei ha bisogno di soldi e che vuole uscire.
«Io ho soltanto parlato con Vito Crimi. Certo che ho bisogno di soldi. Ho parlato con lui perché mi sto separando, e so che anche lui è in questa situazione. Gli ho chiesto come si fa ad avere un documento che attesti quanto prendiamo realmente, perché il giudice sennò prende in considerazione tutti gli emolumenti, compreso quello che restituiamo. Ma io resto nel Movimento, come nella Marina militare, con una bussola: la Costituzione».
Forse non gradiscono che lei parli.
«Certo, dà fastidio che io parli. Non è bello saperlo, così come non è bello sentirsi dire che se voti contro è tradimento. Cosa ho tradito? Il programma? Il contratto? La Costituzione? Uno scecco, un asino, lo puoi costringere ad andare alla fonte, la fonte del diritto, ma non puoi costringerlo ad abbeverarsi».
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