C’è un tormentone che dura da molto tempo ma che in questi giorni, con la polemica sulle Ong e sugli sbarchi di disperati sulle coste italiane, è tornato improvvisamente d’attualità: quello nei confronti del popolo pro life e antiabortista, che da un lato tanto si batte per il diritto alla vita e, dall’altro, dello stesso si infischierebbe bellamente quando di mezzo – come appunto nel caso dei migranti raccolti in mare – vi sono degli stranieri. Ipocriti!, è dunque l’accusa mossa da alcuni leoni da tastiera ai pro life. Ora, in tempi normali a simili stupidaggini non bisognerebbe manco badare, dato che – come ammonisce il noto adagio – in una discussione con gli stupidi questi prima ti portano al loro livello, e poi ti battono per esperienza.
Dato che però questi tempi normali non sono, vediamo perché l’accusa d’incoerenza ai pro life non regge. Essenzialmente per tre motivi. Primo: non risulta che alcuno si sia mai espresso per la morte per annegamento di un migrante in mare (e ci mancherebbe altro!), differentemente dai pro choice i quali, pur indignandosi se a un’imbarcazione delle Ong non viene concesso d’approdare sulle nostre coste (come se fossero, le nostre coste, le sole e le più vicine alla Libia), nulla hanno da ridire sulla possibilità di abortire, di fatto la pena di morte di un bimbo nel ventre materno. Inoltre, considerando che all’Aquarius l’Italia aveva inviato delle navi proprio per prelevare e far sbarcare le donne incinte, per i migranti il dilemma «vita o morte» non si poneva.
Dilemma «vita o morte» che invece si pone ogni volta che una donna è a rischio di aborto: seconda differenza coi migranti in mare. Ma soprattutto – terza considerazione – c’è da dire che, comunque la pensi sull’immigrazione di massa, il pro life è impossibilitato ad essere razzista per un motivo semplice: il posto più pericoloso per un immigrato, quello dove più rischia la vita, non è il mare, bensì il ventre materno: solo nel 2016, in Italia, hanno abortito 25.503 donne straniere (le vittime del Mediterraneo sono state al massimo 5.000 l’anno), con le relazioni ministeriali a segnalare che le donne straniere sono di gran lunga «popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane». Ergo, i vituperati pro life sono i migliori amici degli immigrati, quelli che li difendono nella situazione di maggior pericolo. Altro che storie.