«Per Pasqua avremo un compromesso» sulla riforma del regolamento di Dublino «ma non so ancora in quale anno». La battuta del ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn riassume perfettamente la situazione al consiglio Affari interni della Ue tenutosi oggi a Lussemburgo dove sostanzialmente manca un accordo sulla proposta della presidenza bulgara di cambiamento del sistema di asilo europeo che dovrà essere portata al summit del 28-29 giugno a Bruxelles.
La proposta
Al momento l’accordo di Dublino prevede che le richieste di asilo siano processate nel Paese di arrivo lasciando così il compito soprattutto a Italia, Grecia e Spagna. La proposta di riforma avanzata nel 2016 fissava un meccanismo automatico di ripartizione tra i Paesi membri in base a una «condivisione equa» ma questa filosofia viene respint adai Paesi del gruppo di Visegrad – Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia – a cui si è aggiunta l’Austria. Il testo di mediazione bulgaro, che di fatto riduce la solidarietà nei confronti dei Paesi più esposti, contiene ancora le quote obbligatorie di ripartizione di richiedenti asilo tra gli Stati membri, ma solo in casi estremi, di «crisi grave», con soglie molto alte in termini di numero di arrivi e sulla base di una decisione che deve essere presa all’unanimità dai capi di Stato e di governo dell’Ue. Per contro, questo testo prevede maggiori responsabilità per i Paesi di primo ingresso, in particolare sul numero di anni (10) durante i quali hanno l’obbligo di riprendersi i richiedenti asilo che si trasferiscono in un altro Stato membro. Non solo: riduce da 250mila a soli 30mila euro le penale per gli Stati che si rifiutino di accogliere un richiedente asilo da altri Paesi. Di qui l’opposizione dei Paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta), il cui fronte è rimasto compatto durante le trattative delle ultime settimane.
La posizione di Roma
Durante il suo discorso programmatico al Senato, il premier italiano Giuseppe Conte ha detto che la gestione dell’immigrazione è «il primo banco di prova del nuovo modo di dialogare con i partner europei». «La gestione dei flussi — ha spiegato — finora è stata un fallimento: l’Europa ha consentito chiusure egoistiche di molti Stati che hanno scaricato, in primo luogo sul nostro Paesi, oneri e difficoltà. Chiederemo con forza il superamento del Regolamento di Dublino per ottenere l’effettivo rispetto dell’equa ripartizione delle responsabilità e realizzare sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo».
Gli altri Paesi
Un altro no arriva dalla Germania: «Siamo aperti ad una discussione costruttiva ma com’è attualmente non la accettiamo» ha detto il segretario di Stato tedesco Stephan Mayer. «Non c’è solo l’Italia ad opporsi, anche i Paesi Visegrad sono contrari, e il governo tedesco critica punti precisi», ha aggiunto. Al suo arrivo il ministro dell’Interno austriaco Herbert Kickl, ha detto che in giornata si sentirà al telefono con Matteo Salvini. L’Austria considera l’Italia «un alleato forte» e se non ci sarà un’intesa sulla proposta per la riforma del regolamento di Dublino sul tavolo, al vertice dei leader Ue di giugno, alla riunione informale Affari interni di Innsbruck, a settembre (durante la presidenza austriaca), «annuncerò qualcosa come un piccola rivoluzione copernicana» sulla politica di asilo.
L’Olanda
Critica sulla proposta di riforma di Dublino anche l’Olanda. «Abbiamo ancora molte questioni aperte, ci sono molti Stati membri che hanno punti di cui vogliono discutere. Ci sono cose che anch’io vorrei cambiare nel futuro», ha detto il ministro alla Migrazione olandese Mark Harbers.
Il Belgio
I più lapidari sono i belgi. «La riforma del regolamento di Dublino è morta» ha sentenziato il segretario di stato all’Asilo belga Theo Francken (N-VA) che ha auspicato un «approccio australiano» per arrivare ad «uno stop completo dell’immigrazione illegale», ed un accordo Ue-Tunisia, sul modello di quello fatto con la Turchia, in modo tale che quando i migranti «partiranno dalla Libia potranno essere intercettati in mare e portati in Tunisia». Una volta che «le frontiere saranno chiuse, tutti i Paesi mostreranno solidarietà – ha detto l’esponente del governo belga -. Ma questo non accadrà fino a quando la porta è ancora aperta. Prima chiudiamo le frontiere, poi potremo trovare un accordo su chi fa cosa».
A gettare acqua sul fuoco è il commissario europeo alla Migrazione Dimitris Avramopoulos che si mostra possibilista: «I leader Ue hanno dato mandato al consiglio di trovare una soluzione per giugno. Se slittiamo di un paio di settimane, non è la fine del mondo».