Noi abbiamo una certa predilezione per la tv non pedagogica, ma questi del Grande Fratello esagerano. Raramente una trasmissione ha avuto un consenso (im)popolare così condiviso: per Maurizio Costanzo il GF andrebbe chiamato «La finestra sulla discarica»; per Alfonso Signorini il reality condotto da Barbara D’Urso «sta battendo tutti i record del trash»; per il Codacons siamo dalle parti di «un circo degli orrori». Anche gli sponsor non sembrano apprezzare lo spettacolo che va in onda e una volta tanto la rabbia della rete non è stata solo un esercizio di sfogo: pressati da chi su Twitter e Facebook chiedeva se la tal azienda non si sentisse in imbarazzo a essere associata a tal programma, molti marchi hanno ritirato la sponsorizzazione: uno degli effetti visibili è che ora i concorrenti bevono l’acqua in anonime brocche piuttosto che quella firmata in bottiglietta.
«Sono programmi fatti così»
Con tutta la buona (ma pure la cattiva) volontà difficile discostarsi dai giudizi inappellabili: è inguardabile. Il Grande Fratello non ha mai brillato per i suoi contenuti alti, ma qui arrivati sul fondo hanno iniziato a scavare, anche con un certo gusto: volgarità, violenze verbali, sessismo, bullismo, pure una squalifica ipocrita se poi l’eliminato continua a comparire come ospite. Versione annacquata sia del Grande Fratello Vip sia di quello con gli sconosciuti, qui c’è un mondo di personaggi squallidi, disposti a tutto per un po’ di visibilità. Il riassunto (etico ed estetico) è in un concorrente, il Ken umano, ovvero l’uomo — ammesso che abbia ancora cellule non solo di plastica — che si è sottoposto a decine di interventi chirurgici per assomigliare al fidanzato di Barbie. Mediaset però tira dritta per la sua strada: «È reality: non ce ne vergogniamo, non lo esaltiamo, sono programmi fatti così». Ma potrebbero anche essere fatti meglio. Viene in mente Ray Bradbury che in Fahrenheit 451 aveva intuito benissimo la direzione che avrebbe preso il mondo in un imprecisato futuro. Immaginava schermi-parete che coprivano le quattro mura del salotto, dove andavano in onda trasmissioni televisive popolate da persone che diventavano per chi guardava il programma una vera e propria famiglia, esempio di un mondo perfetto. Una visione fin troppo fiduciosa: nemmeno Bradbury poteva immaginare di poter passare per un distopico ottimista. Corriere