I numeri. Ecco il rebus da sciogliere. Adesso Luigi Di Maio si accorge di non averli. E così, dopo aver escluso categoricamente la possibilità di un accordo con Silvio Berlusconi, chiama sia la Lega sia il Partito democratico.
“Speriamo di poter incontrare il prima possibile i due partiti per capire quali siano le loro proposte, e per capire con chi si possa iniziare a scrivere questo contratto”, scrive in un post in cui spiega la proposta di contratto avanzata in vista del nuovo governo. I toni sono i soli. Tutt’altro che dialoganti. La sua proposta è, infatti, segnata da veti e condizioni. “La Lega e il Pd – è il suo ragionamento – decidano fra Renzi e Berlusconi e il cambiamento”. Un aut aut che i leader dei due partiti hanno già rispedito al mittente.
Di Maio si è messo da solo in un cul-de-sac. Da una parte si dimostra dilogante (“Vogliamo metterci subito al lavoro per far partire la Terza Repubblica che deve essere e sarà la Repubblica dei cittadini, una Repubblica che sarà realizzata da un governo che per la prima volta lavora solo ed esclusivamente nell’interesse della gente, per trovare risposte ai loro bisogni”), dall’altra rispolvera quell’antiberlusconismo che per anni è stata la spada di Damocle della sinistra. E così prova a pungolare la Lega invitandola a sganciarsi dal Cavaliere. “È la forza politica che ha preso più voti all’interno di una coalizione di centrodestra che di fatto non esiste, e che alle elezioni si è presentata con tre programmi e tre candidati premier differenti”, scrive il capo politico del M5s sul Blog delle Stelle. “La Lega deve decidere da che parte stare: se contribuire al cambiamento che il M5S vuole realizzare per il Paese o se invece rimanere ancorata al passato e a Silvio Berlusconi, un uomo che ha già avuto la possibilità di cambiare l’Italia e che non lo ha fatto – spiega – la scelta è tra cambiare o lasciare tutto com’è, tra spostare le lancette dell’orologio avanti oppure indietro come farebbe inevitabilmente Berlusconi”.
A Di Maio, però, il pallottoliere dice che da solo non può andare da nessuna parte. Alla Camera può contare su 222 deputati, mentre a Palazzo Madama ha soltanto 109 senatori. Un’eventuale alleanza con il Carroccio gli garantirebbe la maggioranza necessaria a formare un governo. Ma con quali presupposti? Il capogruppo della Lega a Montecitorio, Giancarlo Giorgetti, ha già messo in chiaro che a suon di veti non andaranno da nessuna parte. E così Di Maio ora chiama in causa anche il Pd. “Sono chiamati a scegliere se seguire la linea di Renzi, che per fare un dispetto al Movimento 5 Stelle vuole lavarsene le mani dei problemi del Paese, o la linea di chi invece vuole contribuire a lavorare per i cittadini”. Ma anche dal Nazare non non riceve altro che due di picche. A rifilarglielo è il vice presidente della Camera, Ettore Rosato: “No l’impressione che non voglia costruire le premesse per un incontro con il Pd. Di Maio non può scegliere chi incontrare”.