Al liceo Torquato Tasso erano solo in due di destra nella sua classe, ma lui se lo ricordano ancora: «Il classico bravo ragazzo». Poteva sembrare un po’ antiquato con le sue passioni monarchiche, però era difficile volergli male. Anche quando faceva l’inviato per Il Giornale, correndo dietro agli ordini militareschi di Guido Paglia, ha sempre mantenuto lo stesso aplomb, molto signorile, che non è una cosa così semplice per chi fa questo mestiere. Sono passati gli anni e Antonio Tajani, pure dopo la curva dei sessanta, è rimasto un bravo ragazzo, «un grande mediatore», come lo definisce Berlusconi, ben consapevole di quello che è riuscito a fare per lui questo ciociaro, ex monarchico, ex ufficiale dell’aeronautica, ex commissario europeo e attuale Presidente del Parlamento di Strasburgo, capace di ricucire i rapporti del Cavaliere con l’elite delle cancellerie che avevano brindato champagne quando era stato costretto a dimettersi nel 2011.
Gli amici
«Piace anche alla sinistra», ha aggiunto Berlusconi mentre lo candidava a possibile premier del prossimo governo se dovesse vincere le elezioni il centrodestra, come ormai tutto lascia ritenere. Piace soprattutto alla Merkel, per la quale lui spende parole entusiastiche: «E’ la sola preparata e in grado di decidere. E di farlo bene». Al re di Spagna, Juan Carlos, che gli ha scritto una lunga lettera accorata, di una pagina e mezzo, quando lui ha lasciato l’incarico di Commissario europeo. Agli spagnoli tutti, che gli hanno dedicato persino una via a Gijon, nelle Asturie. Al Presidente Barroso, Josè Manuel. Al Partito popolare europeo. A Mario Draghi.
I nemici
Non piace a Salvini, che lo guarda con molta antipatia per tutto quello che ha fatto in Europa e per l’Europa, ritenendolo «corresponsabile delle sanzioni alla Russia e dei favori alla Turchia. Ho letto che Berlusconi ha altri due nomi a sorpresa e a me le sorprese piacciono tanto». E non piace a Giorgia Meloni, che sta anche a lui cordialmente sulle scatole: «Tajani premier? Meglio io, che potrei essere il primo premier donna».
In autobus, altro che auto blu
Detto che non sarà semplice mettere d’accordo degli alleati così riluttanti, non va nemmeno sottovalutata la capacità di aggregazione e di convincimento del Cavaliere, che ha del miracoloso qualche volta. Lui, Tajani, fa il profilo basso: «Io sto bene dove sto. E ho tante cose da fare». Ma ha sempre fatto così. Come tutti i bravi ragazzi, non gli dai una lira, poi capita che arrivano. Lui è davvero rimasto un bravo ragazzo. In tempi di Cinque Stella e di rimborsi intascati, è il presidente del Parlamento europeo che viaggia senza autoblu: «A Roma la mia auto blu è l’autobus. E a Strasburgo la navetta dei deputati».
Rinunciò all’indennità di fine mandato
Ma è soprattutto l’ex vicepresidente della Commissione europea che rinuncia all’indennità di fine mandato, cioè a 468mila lire, «per una scelta di coscienza», come spiega al suo presidente, José Manuel Barroso, in una lettera in cui scrive di aver «ritenuto che fosse opportuno dare una prova di sobrietà e solidarietà in questo momento di grande difficoltà per i cittadini europei». Se si pensa ai parlamentari italiani a Strasburgo, anche leader di partito, che rubano il lauto stipendio senza essere quasi mai presenti in aula, il suo caso sembra davvero straordinario.
Lui e Draghi, italiani seri
Non è solo per questo che è stimato da quelle parti: «Alla Ue bisogna dedicarsi», dice lui. «Io voglio rovesciare l’idea che si ha dell’Italia facilona. Se sei un italiano serio ci metti più degli altri a cancellare il pregiudizio, ma poi ti stimano. E’ anche il caso di Mario Draghi». Lo aiuta, senz’altro, il fatto che parla correntemente tre lingue oltre all’italiano, – inglese, francese, spagnolo -, mentre i suoi colleghi se la cavano a stento con il dialetto. Più di tutto però ha contato la sua personalità: è un mediatore tenace, cocciuto, molto resistente, come dimostra l’interminabile battaglia vinta contro la chiusura della fabbrica Tenneco a Gijon che gli valse il nome di una strada della città asturiana: «E’ stata la mia più grande soddisfazione. A volerlo sono stati i sindacati delle Asturie, la regione più a sinistra di Spagna. E alla cerimonia mi sono trovato accanto le 250 famiglie dei dipendenti venuti a festeggiarmi. Mi sono commosso».
Fedelissimo di Berlusconi
Tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, è un fedelissimo ad oltranza, pasdaran di Berlusconi e suo uomo a Bruxelles, europeista convinto («L’Europa non è quella dei burocrati. E’ quella cristiana, del Rinascimento, del primo Continente senza pena di morte»), e proprio per questo eurogarante, visto come la figura giusta per tenere l’ex patron del Milan vicino alla Ue e l’Italia lontana dagli artigli antieuropeisti di Salvini e della Meloni. E’ uno degli artefici, forse il principale, dell’ingresso di Forza Italia nel Ppe, di cui diventa vicepresidente nel 2002.
Le sue battaglie
Ha qualche battaglia vinta nel suo curriculum: oltre a Gijon, il salvataggio della lingua italiana dalla cancellazione delle più importanti lingue europee. E qualcuna persa: battuto nel 96 alle politiche e nel 2001 da Veltroni per il sindaco di Roma. Da giovane è stato vicesegretario del Fronte monarchico giovanile e questa passione gli deve essere rimasta, visto che si è detto sempre favorevole al rientro dei Savoia in Italia. Poi se uno gli chiede i nomi dei personaggi più importanti del mondo lui naturalmente fa quello della Regina Elisabetta e di Juan Carlos, «che come nessuno ha avuto la forza di restaurare la democrazia in Spagna». Fra le battaglie perse, c’è quella per salvare Gheddafi dai bombardamenti. Adesso può anche dire di aver avuto ragione, ma a che serve: «E’ stato un grave errore eliminarlo. Soprattutto per l’Italia. L’accordo con la Libia era l’unica buona soluzione per l’emergenza immigrazione».
La carriera
Partito dal liceo Torquato Tasso, ha fatto la sua bella carriera. Laurea in giurisprudenza alla Sapienza. Servizio da ufficiale nell’aeronautica. Cattolico e praticante, sposato, due figli. Tifoso della Juve. In un liceo romano, di destra e juventino: e ne parlano pure bene. Dev’essere stato il low profile. Giornalista, conduttore al Gr1 e poi inviato e caporedattore al Giornale di Montanelli. Dai monarchici a Forza Italia sempre con Berlusconi senza un tentennamento: «non si cambia per una poltrona». Nel 2008 entra nella Commissione Barroso: diventerà vicepresidente e titolare ai trasporti prima e al turismo e all’industria poi. Lascia nel 2014. L’Eurocamera lo elegge vicepresidente con un record di voti. Poi sale sullo scranno principale, alla Presidenza, dove risiede tuttora. Sempre low profile, che è la sua caratteristica principale. Dev’essere il motivo per cui piace ai monarchi. Fa molto di più di quel che sembra. E non appare mai. Un Cavour de noantri. Occhio a sottovalutarlo. di