La regola che ha imposto ai parlamentari del M5s di restituire ogni mese la metà dello stipendio è stata bypassata con il trucco dei rimborsi gonfiati. Nello scandalo che sta facendo crollare il castello grillino non ci sono solo i parlamentari che hanno falsificato il bonifico sulla restituzione dello stipendio, intascando l’intera somma, ma anche chi con astuzia ogni mese si è garantito 9-10mila euro utilizzando i rimborsi riconosciuti a deputati e senatori. Il trucco ha funzionato alla perfezione: i furbetti hanno evitato la gogna e l’espulsione dal Movimento, incassando un bel po’ di soldi. La fase post-Grillo del Movimento è cominciata con una distinzione netta: da un lato, il gruppo di parlamentari che ha truffato (politicamente) cittadini e attivisti con la favola della restituzione dello stipendio, dall’altra, la nuova categoria degli spendaccioni.
Il primo elenco è in continuo aggiornamento: le Iene hanno svelato tre nuovi nomi di parlamentari coinvolti nelle mancate restituzioni di parte dello stipendio. I nomi sono quelli di Francesco Cariello, Emanuele Scagliusi e Federica Dieni, questi ultimi candidati all’uninominale rispettivamente in Puglia e a Reggio Calabria. Nomi che si aggiungono a quelli di Giulia Sarti che ieri si è autosospesa, Massimiliano Bernini e Barbara Lezzi. Mentre Di Maio continua a proteggere Lezzi e Sarti, Scagliusi si difende: «Ho avuto la necessità di fare una spesa personale di cui non volevo sapessero nulla né la mia compagna per non farla preoccupare né il mio collaboratore. Per prendere i soldi ho modificato la cifra sulla distinta del bonifico. In pratica ho preso in prestito mille euro dei soldi per dei controlli medici sulla mia persona che volevo rimanessero nascosti ai miei cari».
Nel secondo elenco, quello degli spendaccioni, il primato spetta a Mario Giarrusso. Il senatore che è riuscito a farla franca restituendo in cinque anni poco più di 70mila euro, ha intascato, invece, mediamente una somma di 8.800 al mese caricandole come spese: Vitto, trasporti e utenze telefoniche. Senza dimenticare che per ogni parlamentare sono previste tessere per la libera circolazione su treni, aerei e navi e un rimborso annuale per le spese telefoniche.
In cinque anni, il senatore grillino ha messo in tasca 480mila euro di rimborsi. Il duro e puro Alessandro Di Battista, nell’ultimo anno, da agosto 2016 a settembre del 2017, ha intascato 91.729 di rimborsi. Una media di 8 mila euro al mese di spese per il numero due del Movimento: una cifra che balza subito agli occhi se raffrontata all’importo di circa 4 mila euro al mese rimborsato nel 2013, nell’anno in cui Di Battista ha messo piede per la prima volta in Parlamento.
Nella classifica degli spendaccioni entr
a a pieno titolo anche l’esperto di sistemi elettorali, Danilo Toninelli: il braccio destro di Luigi Di Maio, nel settembre di quest’anno, si è regalato uno smartphone nuovo, pagandolo 628,49 euro. Ovviamente, soldi dei contribuenti rimborsati con le spese del parlamentare. Anche Toninelli è in media con gli altri spendaccioni con una incasso mensile che oscilla tra i 6mila e 7mila euro. Soldi che si aggiungono allo stipendio di parlamentare, restituito per la metà. Rimborsi record per il senatore Roberto Cotti, che ha messo in tasca mediamente 9.800 al mese di rimborsi per telefono, cibo e viaggi, e Manlio Di Stefano che viaggia sui 9 mila euro al mese. Cifre e carte inchiodano Di Maio e smontano la favola grillina della politica a costo zero. IlGiornale