Sarà veramente Sanremo? A dire il vero la selezione dei Big in gara in questa edizione 2018 targata Claudio Baglioni fa pensare a tutto tranne che al classico, vecchio, immutabile festival. Perché? Forse i big in gara sono degni del Premio Tenco, del Mei, di qualche rassegna colta o indie? No, non arriviamo a tanto, ma di certo la selezione dei cantanti che concorreranno per la vittoria finale è quantomeno “originale”, anche se non abbiamo ancora avuto il piacere di ascoltare le canzoni, decisamente orientata verso la qualità, pur non dimenticando qualche necessità pop.
Baglioni ha deciso di alzare l’asticella e di schierare un cast estremamente vario e ricco, ma con una notevole quota di nomi che big davvero non sono e che hanno un repertorio fuori dal mainstream nazionale. Nomi come quello di Diodato e Roy Paci, certamente sconosciuti al pubblico abituale di Sanremo e di RaiUno, o come quello de Lo Stato Sociale, band in grado di sovvertire gli schemi della canzone e quindi anche di poter sorprendere sul palco dell’Ariston, o una coppia napoletana di eccellenza assoluta come quella formata da Enzo Avitabile e Peppe Servillo.
No non sarà un festival come tutti gli altri, con Bungaro e Pacifico, Giovanni Caccamo, Renzo Rubino, vecchie e nuove glorie di una canzone d’autore che cerca rinnovamento. Ma a compensare abbiamo il duo Pooh di Robi Facchinetti e Riccardo Fogli, e un singolo Pooh come Red Canzian, una divina della canzone nazionale come Ornella Vanoni, la grnade voce di Mario Biondi e quella travolgente di Noemi, un colosso della canzone italiana come Ron. Ma poi c’è Nina Zilli, c’è Annalisa, ci sono Ermal Meta e Fabrizio Moro, c’è Luca Barbarossa, c’è il grande Max Gazzè, ed il quadro si fa allo stesso tempo più chiaro e più confuso, soprattutto se si aggiungono i Kolors e Le Vibrazioni, i Decibel e Elio e le Storie Tese (sciolti? Forse no). Più chiaro perché sembra evidente che, nonostante il necessario bilancino, Baglioni abbia voluto innovare la meglio delle sue possibilità, puntando tutto sulla musica più che sui personaggi. Innovazione mitigata da scelte più “leggere”, da qualche concessione pop, da un paio di necessari nomi sanremesi. Più confuso perché forse non fotografa esattamente, come sarebbe stato meglio, la situazione attuale della musica italiana. Sarebbe stato chiedere troppo? Probabilmente si, lo sappiamo che stiamo esagerando e che il cast proposto da Baglioni è probabilmente il migliore da anni.
Allora diciamo che questo festival ci potrebbe piacere. Noi inguaribili ottimisti, nonché fedelissimi seguaci nel festival nel bene e nel male, festeggiamo la presenza di artisti del calibro di Avitabile, Diodato, Roy Paci, Servillo, che rappresentano una parte rilevante dell’arte musicale italiana che la televisione colpevolmente dimentica, siamo contenti di una una serie di personaggi capaci di coniugare pop e qualità come Noemi, Nina Zilli, Annalisa, Gazzè, Decibel, Elio e le Storie Tese, Barbarossa, Biondi, Bungaro, Pacifico, Meta, Moro o di grandi personalità come Vanoni e Ron; pensiamo sia saggio avere cantanti dal successo indiscutibile come Fogli e Facchinetti, e anche dei divi da talent come i Kolors. Mentre meno ragionevole, sulla carta è avere in gara Rubino o Caccamo e non avere nessun rapper, nessun esponente della nuova canzone italiana, che in un simile e sensato mix non solo avrebbero avuto ragion d’essere ma avrebbero arricchito e reso più credibile il cast. Ma sarebbe forse stato, lo ripetiamo, chiedere troppo e tanto vale, con un pizzico d’ironia, dire che con Claudio Baglioni al timone, “Sanremo è Sanremo” è un vecchio slogan che potrebbe essere per la prima volta da anni smentito dai fatti. Repubblica