È che ormai i cinesi in Italia fanno tutto, comprano, votano, anche alle primarie del Partito democratico. Magari sono stati solo tirati in ballo per dare un tocco di vero comunismo alla più esilarante kermesse che gli eredi di Palmiro Togliatti abbiano saputo mettere in piedi negli ultimi anni. Le hanno lanciate con l’Unione, nel 2005. Dodici anni fa, con Romano Prodi e Arturo Parisi che impongono le primarie per la scelta dei candidati della giunta regionale di Puglia e Calabria. Per qualcuno Parisi è stato anche un buon ministro della Difesa, ma una cosa è certa: non ha mai saputo bene far di calcolo. Dunque il problema potrebbe esser nato in origine, ma c’è in verità dell’altro. Il gioco delle primarie si fa in un’organizzazione privata, non c’è una legge che le regolamenti. È come giocare alla tombola di Natale, ma con un altro spirito. In fondo per andare a votare domani bastano due cose: tempo e 2 euro in tasca. Si tratta dell’obolo da pagare per poter esprimere liberamente la propria scelta. Ed è anche qui che il Grande Scherzo ha avuto uno dei suoi momenti più pepati. Titoli. Primarie Pd a Napoli, sospetti di brogli: «Vai a votare Valeria Valente e ti pago 1 euro». Il caro prezzi colpisce ovunque, questa storia è del marzo di un anno fa. A denunciarla un altro candidato napoletano, l’ex tutto Antonio Bassolino e un video del sito Fanpage. Pochi giorni prima, altra bomba, sempre nel capoluogo campano: «Listopoli per Valeria Valente e tessere gonfiate». Bassolino presenta ricorso e anche qui compaiono i cinesi, cittadini stranieri arruolati per andare a votare. La commissione di garanzia del Partito che fa? Archivia tutto.
Un passo indietro, Modena aprile 2014. Uno dei candidati sindaci Pd, Paolo Silingari, denuncia che alle primarie c’è chi porta gli elettori a votare con il pullmino. Poi viene il bello: Gregorio Mendoza, leader della comunità filippina conferma: «Ci hanno rimborsato il voto e pagato il pranzo per dare la nostra preferenza a Muzzarelli». Che infatti vince e tutto viene insabbiato. Primarie a Reggio Emilia? Qui ha indagato pure l’Antimafia. A Brindisi? Una trentina di scrutatori vengono indagati dalla Procura.
Poi ancora Napoli. È il 2011, si gioca a scegliere il candidato sindaco. I seggi sono già chiusi. Ma il Partito è costretto ad annullare tutto e a mandare in città il commissario politico Andrea Orlando. Anche qui indagherà l’Antimafia. Quattro i candidati, tra questi Umberto Ranieri, ex senatore. Contro di lui Andrea Cozzolino, eurodeputato, legato al solito Bassolino. Cozzolino vince, stravince a Secondigliano, prende quasi più preferenze di tutte quelle espresse per il Pd alle ultime elezioni. C’è puzza di bruciato, il segretario Bersani annulla tutto. Così avanza il terzo incomodo, Luigi De Magistris, potrà diventare il primo sindaco arancione di Napoli. Storia simile a Palermo, altre comitive di elettori immigrati, che nel marzo del 2012 sconfiggono Rita Borsellino e portano alla vittoria Fabrizio Ferradelli.
Poteva mancare Roma? Certo che no, qui la cosa più comica sono 2.300 schede bianche. Un anno fa compaiono e scompaiono, servivano solo per far sembrare più alta l’affluenza. Primarie a Milano, febbraio 2016. «Sono state taroccate dai cinesi», solo che a dirlo è Beppe Grillo, sembra una battuta. Invece no, si sono davvero mobilitati per far vincere Sala. «Voto consapevole», dicono. Finito? No, altro capolavoro a Genova, sempre in casa dem. Gli ex compagni devono scegliere il candidato alla presidenza della Liguria. Vince Lella Paita, renziana. «Troppe irregolarità», denuncia il competitor Sergio Cofferati. Quando si farà sul serio la Liguria andrà al centrodestra. Intanto Cofferati ha già sbattuto la porta e lasciato il Pd. Lo chiamavano «il Cinese», ma quella era davvero un’altra storia. IlGiornale