A conclusione della settimana più difficile dei suoi quasi dieci anni di vita, il Partito democratico si appresta ad affrontare molte incognite, dalla forza della leadership di Renzi alla tenuta del governo Gentiloni. Il vivace confronto che ha accompagnato l’assemblea di domenica scorsa, non sembra aver fatto chiarezza riguardo ai motivi che hanno determinato la scissione guidata da alcuni esponenti di primo piano della minoranza del partito.
Uno scontro «lontano»
Due italiani su tre (64%) ritengono che si sia trattato di uno scontro personalistico, senza un vero e proprio progetto politico alternativo, mentre il 23% ritiene che la scissione sia la conseguenza di visioni politiche e di programmi differenti. Tra gli elettori del Pd le opinioni sono ancora più nette: per quattro su cinque prevalgono le motivazioni personali su quelle programmatiche. La pensano così tutti gli elettorati, con l’eccezione di coloro che intendono votare per il nuovo soggetto di sinistra che si dividono tra le due motivazioni. D’altra parte si tratta di una reazione comprensibile dato che i temi che stanno a cuore agli elettori e le grandi questioni che attraversano il Paese sono risultati sullo sfondo nel dibattito di queste settimane, quando non del tutto assenti. Non si è parlato di occupazione, crescita economica, protezione sociale, migranti, rapporto con l’Unione europea. Al centro della discussione c’erano questioni politiche interne al Pd, non sempre comprensibili per gli elettori.
La leadership
Secondo la maggioranza degli intervistati (58%) la leadership di Renzi esce indebolita da questa vicenda, sia perché non ha saputo tenere unito il partito, sia perché permangono posizioni distanti tra alcuni esponenti rimasti nel partito. Al contrario il 14% ritiene che Renzi si sia rafforzato perché potrà contare su un partito più coeso e il 28% sospende il giudizio. Anche tra gli elettori del Pd è largamente diffusa la convinzione che Renzi si sia indebolito (53%) mentre uno su tre è di parere opposto. La nuova forza per il 43% dovrebbe rompere definitivamente con il Pd anche a costo di far cadere il governo Gentiloni. Più che una previsione sembrerebbe un auspicio, dato che è fortemente presente tra gli elettori dell’opposizione, in particolare M5S (61%) e Forza Italia (54%). Tra gli elettori del partito di sinistra il 34% è favorevole a una rottura, mentre il dato scende al 20% tra chi vota i dem. Il 27% degli italiani ritiene invece che la neonata forza di sinistra dovrebbe allearsi comunque con il Pd e sostenere l’attuale governo: ne sono convinti soprattutto gli elettori pd (67%).
Il peso della sinistra
Quanto al peso della nuova forza in uscita dal Pd, l’elettorato acquisito (coloro che dichiarano di volerla votare con certezza) è in leggera flessione rispetto alla scorsa settimana: si attesta al 3%, corrispondente al 4,8% dei voti validi. Cresce invece la quota dell’elettorato potenziale (orientati a votarla ma al momento indecisi) che raggiunge il 3% (4,5% sui validi). Nel complesso, quindi, un bacino elettorale pari al 6,3%, con un peso del 9,3% sui voti validi, se tutti i potenziali indecisi si trasformassero in voti. Ma si tratta di un esercizio teorico, dato che non sono ancora note le proposte politiche, le alleanze e la leadership. È interessante osservare che poco più di un terzo del bacino potenziale proviene dal Pd, un po’ meno di un terzo dall’astensione e il resto dalle liste di sinistra e dal Movimento 5 Stelle. Tra i segmenti sociali una maggiore attenzione si registra tra i ceti medi impiegatizi, gli insegnanti e i pensionati ma anche tra le persone meno scolarizzate, tra i residenti nei piccoli e medi centri e, com’era lecito attendersi, nell’area del Centro nord (le regioni «rosse»). Si tratta di un profilo composito nel quale si ritrovano i tratti di un elettorato nostalgico di un partito di sinistra, senza dubbio a disagio con la svolta impressa dalla segreteria di Renzi in termini di priorità, di proposte politiche e di stile di leadership. Si tratta di stime e di analisi che andranno verificate nelle prossime settimane, quando presumibilmente il nuovo soggetto assumerà una fisionomia più definita e si passerà dalle schermaglie dialettiche alle proposte concrete. Corriere.it