Da oltre dieci anni i comprimari del centrodestra cercano di smontare la leadership di Silvio Berlusconi. Purtroppo per loro, con esiti infausti. La sfilza dei precedenti dovrebbe suggerire al numero uno del Carroccio, Matteo Salvini, massima prudenza.
Chi si ricorda più, infatti, di Marco Follini? Eppure nel 2005 l’alter ego di Pier Ferdinando Casini era personaggio politico assai potente: aveva ereditato dal collega la segreteria dell’Udc e sedeva come vicepresidente del Consiglio a fianco del cavaliere a Palazzo Chigi. I risultati poco felici per il centrodestra nelle amministrative ed Europee del 2004 e la sconfitta alle Regionali del 2005 lo indussero a tentare il tutto per tutto, provocando una crisi di governo. Il disegno era chiaro: sostituire Berlusconi e ridisegnare un centrodestra più «centrista» nel quale potesse ritagliarsi un ruolo di peso. Il successivo riavvicinamento fra Casini e il Cav con l’approvazione del cosiddetto Porcellum a fine 2005 segnarono la sua inconsistenza. Lasciò anche la segreteria e ripiombò in un anonimato dal quale uscì brevemente un anno e mezzo più tardi solo per fare da stampella al Senato al traballante governo di Romano Prodi.
Non è andata certo meglio al suo amico fraterno Pier Ferdinando: Marco era stato solo il ballon d’essai, l’ex presidente della Camera però credeva possibile scalzare Berlusconi dalla sella: per questo «divorziò» dal centrodestra alla vigilia della più grande manifestazione anti-prodiana di sempre, quella del 2 dicembre 2006. Il calcolo politico era sopraffino: la logica fortemente bipolare del Cav ostacolava i suoi progetto di «grande centro allargato»: unire i moderati di entrambi gli schieramenti e riformare la Dc. Peccato che la caduta di Prodi abbia scompaginato i propri piani rendendolo alfiere di un «terzo polo» al quale solo lui è sopravvissuto, visto che pure l’Udc non lo ha seguito e gli è toccato reinventarsi i «Centristi per l’Europa».
L’unico ad aver avuto qualche chance è stato, però, Gianfranco Fini. L’uomo del «Che fai, mi cacci?», ma anche della casa di Montecarlo, aveva sempre covato ambizioni di premiership. Anche lui sperava in una durata più lunga di Prodi per sostituirsi a Berlusconi, tant’è vero che quando il presidente fondò il Pdl sul predellino, lui parlò di «comiche finali». La comica finale è stata lui: blandito da Napolitano per far saltare la maggioranza di centrodestra, Palazzo Chigi poté ammirarlo solo da visitatore. La storia si è poi incaricata di rottamarlo. Gian Maria De Francesco per IlGiornale