di Matteo Volpe
Inaspettati per molti, ma non affatto imprevedibili, la scelta di Grillo di separare il Movimento Cinque Stelle dal gruppo europeo EFDD (che comprende anche l’UKIP inglese) e il tentativo – non andato a buon fine – di farlo confluire nell’ALDE, i liberali di Guy Verhofstadt. Già in passato si svolsero trattative per permettere l’ingresso dei Cinque Stelle nel medesimo gruppo, ma, anche in quel caso, senza successo. Fu così che si ripiegò sul gruppo di Nigel Farage, con il quale però furono numerosi i momenti di disaccordo. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea decisa dal referendum avrebbe probabilmente decretato la fine dell’EFDD. Tuttavia quella di Grillo è una decisione che ha rischiato di dividere il movimento. I parlamentari grillini sono stati colti di sorpresa dalla comunicazione di indire il voto telematico (che ha confermato la scelta di aderire ad ALDE) senza che questi fossero stati consultati, prima che Verhofstadt annunciasse la contrarietà dei suoi deputati all’entrata dei Cinque Stelle. La divisione tra anti-euro e favorevoli alla moneta unica, che nell’ultimo periodo era rimasta latente, si è, in questa circostanza, riaccesa. I nodi irrisolti di un non-partito senza una chiara impronta ideologica e programmatica sono venuti, almeno per un attimo, di nuovo al pettine. Per quanto Grillo cerchi di aggrapparsi a una retorica vittimista, «Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi» ha dichiarato, non può biasimare che se stesso, per una mossa azzardata.
Anche se l’accordo è saltato, l’episodio segnala, ancora una volta, delle contraddizioni irrisolte del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. In realtà questo basa tutta la sua forza attrattiva e la sua condivisione di intenti sulla polemica contro “la casta”, sull’antipartitismo, sull’aggressione alla “politica come professione”. Non su una analisi chiara della realtà e su una visione della società, ma sulla raccolta plebiscitaria del risentimento popolare contro la politica, che viene trasmesso e amplificato senza alcuna struttura di mediazione. I Cinque Stelle, infatti, non possiedono un paradigma teorico e sono perciò soggetti alle più disparate suggestioni critiche, non poggiano su un solido apparato di partito, ma devono la propria diffusione alla rete e alla capacità intuitiva di cogliere il malcontento popolare in un dato momento. Essi non hanno perciò mai avuto una proposta chiara e condivisa eccetto per quanto riguarda gli stipendi dei parlamentari. Il Movimento Cinque Stelle non sembra avere una politica estera, tranne isolate enunciazioni di singoli parlamentari, tra l’altro a volte contraddittorie. In economia, il reddito di cittadinanza sembra più un’irrealistica petizione di principio, tanto più irrealizzabile in quanto non preceduta da una netta e precisa rivendicazione della sovranità monetaria. Su questo tema il movimento ha mostrato numerose ambiguità. Beppe Grillo ha alternativamente affermato sia la necessità di tornare alla lira che la volontà di restare nell’euro, a seconda, forse, dei sondaggi del momento.
La posizione ufficiale su questo tema è di fatto inesistente, se non per un discutibile compromesso; cioè la proposta di un referendum. Il quale però appare piuttosto problematico, dato che la Costituzione non permette consultazioni popolari sui trattati internazionali e che quindi la Consulta probabilmente lo dichiarerebbe inammissibile. L’unica possibilità per uscire dall’euro, per l’Italia, sarebbe attraverso una decisione unilaterale del governo, che però non sembra in questo momento attuabile da parte dei grillini, non essendoci alcun accordo tra di loro su questo punto. Nel documento provvisorio di intesa con l’ALDE si leggeva:
«Abbiamo bisogno di costruire intorno alla moneta comune un sistema che sia in grado di assorbire shock economici nella zona euro e che ha bisogno di essere gestito da una nuova governance che deve essere integrata in strutture trasparenti e democratiche»
Nessuna allusione, dunque, a una possibile fine dell’euro, anzi, se ne ribadisce la centralità e l’intenzione di “riformarla”. I Cinque Stelle, quindi, si accomunano al PD, che ha più o meno la stessa posizione (una improbabile e fumosa “riforma” delle istituzione europee) come al PSE e al PPE, i gruppi del Parlamento europeo che, assieme all’ALDE, sono stati i principali sostenitori dell’austerità e dei vincoli di bilancio. Sempre nello stesso documento si affermava: «Abbiamo anche bisogno di rivedere il modo in cui vengono monitorati i bilanci nazionali», dunque nessuna idea di sovranità nazionale, i Paesi devono continuare a sottostare alla spada di Damocle dei vincoli europei, magari con qualche piccola modifica – anche se non è dato sapere in che modo si intende, se si intende, cambiare i trattati, visto che il Parlamento non può farlo.
«Molti nostri cittadini» proseguiva il testo «credono che l’Unione Europea sia parte del problema come vettore indiretto dietro la globalizzazione senza controllo che viene percepita di beneficio solo per pochi. Mentre in realtà dovrebbe essere l’opposto. Noi crediamo che solo l’Unione Europea abbia un peso sufficiente per approfittare della globalizzazione… L’Unione Europea deve essere il contrappeso democratico alle forze economiche globalizzate»
Al di là dello scarso realismo storico di tali asserzioni, più che una critica delle istituzioni eurounioniste sembra una riaffermazione della loro centralità in opposizione agli stati nazionali e alla delusione dei popoli del continente che sempre meno credono alle presunte virtù salvifiche dell’Unione Europea. Se, quindi, in Italia il Movimento Cinque Stelle assume un profilo “contestatore”, superati i confini delle diatribe più provinciali, esso è più allineato che mai a Bruxelles e ai poteri economici.
Sebbene in esso militino anche critici della moneta unica, i quali hanno rischiato di trovarsi di fronte alla secca alternativa tra “ingoiare il rospo” e abbandonare il movimento, questo non ha mai saputo esprimere una posizione condivisa in favore della sovranità monetaria, tantomeno è mai riuscito a formulare una critica radicale ai trattati della UE che impediscono politiche fiscali espansive. I Cinque Stelle sembrano condividere il pregiudizio antinazionale di molti: e cioè che il processo di integrazione e di denazionalizzazione sia irreversibile e che gli Stati non possano contrastare l’avanzare del capitale globale. Pregiudizio che è stato smentito dal caso greco il quale ha mostrato l’impossibilità di attuare un programma politico a favore delle classi popolari in un contesto denazionalizzato, con una moneta emessa da una banca estera e sotto il protettorato di Bruxelles. L’impossibilità (contabile prima che politica) si è mostrata a Syriza, partito molto più strutturato sia dal punto di vista organizzativo che da quello programmatico del M5S, ma quest’ultimo pensa di poter ignorare le “dure repliche della storia”. L’accordo con gli ultra-liberali pro-euro, certo, è fallito, ma restano in piedi le cause che lo hanno portato (almeno in alcuni dei suoi dirigenti che hanno deciso di procedere unilateralmente) a convergere su alcuni punti programmatici con essi.
È difficile pensare che i Cinque Stelle riscoprano improvvisamente istanze patriottiche e popolari (invece che populiste). Non è nella loro natura e nella loro vocazione. Il loro ruolo è quello di amplificare il malcontento, non di tradurlo in dissenso, critica e infine alternativa progettuale. Molto più facile pensare che, una volta al governo del Paese, abbandonino qualsiasi velleità “sovranista”; in questo caso, però, finirebbero inevitabilmente per replicare i fallimenti di chi li ha preceduti. Casta o non casta. È una lezione che i populisti devono imparare e impareranno a loro spese (e purtroppo forse anche a spese della comunità). Il loro successo è temporaneo e quanto mai precario, perché non sorretto da un adeguato apparato concettuale e organizzativo; perché sono incapaci di esprimere una nuova idea di società; perché la protesta estemporanea e la trasmissione della rabbia popolare è inefficace se non sa tradursi in una critica e un’interpretazione della stessa attraverso strumenti di analisi teorica e “macchine da guerra” burocratiche reali e non sospese nella virtualità della rete internet. L’Intellettuale Dissidente