Più guardo le foto di Sephora Ikalaba, la giovane nigeriana appena incoronata Miss Helsinki, e più mi viene da interrogarmi su cosa possa essere passato nella testa dei giudici del concorso finlandese. Di certo – penso – non la voglia di premiare la più bella, dato che escludo che, con quel naso e 165 centimetri di altezza, una miss nativa di Helsinki avrebbe avuto scampo. Ma allora, su che cosa si sono basati quanti hanno decretato la vittoria della diciannovenne migrante? Secondo me, come già ipotizzato da altri, su «un complesso di colpa». E pure sulla paura, aggiungerei, di passare per razzisti.
Credo dunque che il motivo per cui Sephora Ikalaba sia stata ritenuta bella lo stesso per cui al Barack Obama venne assegnato, per la prima volta nella storia, un Nobel per la Pace preventivo, sulla fiducia, e cioè un antirazzismo divenuto una nuova forma di razzismo, inteso come aprioristica stima nei confronti di chi non ha la pelle bianca. Lo si vede anche dalla cronaca: un senegalese, poniamo, mena un italiano? Chissà con che crudeltà quest’ultimo lo aveva prima provocato, sarebbe il primo pensiero di molti. Ma accadesse l’opposto, il pensiero comune sarebbe – ancor prima d’accertare i fatti – una condanna della violenza razziale.
Senza dunque che le persone di colore abbiano ovviamente alcuna colpa né alcun merito, oggi tendono spesso ad essere guardate con favore anche dove singolarmente non sono più belle o più brave. E tutto questo perché, come si diceva, in Occidente ormai si preferisce comportarsi, in un concorso di bellezza, come giudici davvero incompetenti, e alle urne come elettori davvero ingenui, pur di scrollarsi di dosso il sospetto di non essere abbastanza tolleranti, accoglienti, aperti. Il punto però è che il razzismo – diceva Dino Risi – finirà solamente quando si potrà dare ad un negro (usava lui questa parolaccia, eh) dello stronzo. O del bruttino, se lo è.