di Davide Giacalone
Per i pentastellati quello di Roma non è un incidente di percorso, ma la materializzazione di un molteplice tradimento della credulità popolare. Forse non ne subiranno un danno elettorale, giacché nessun elettore ha mai pensato di farsi governare da un’accolita di logorroici incompetenti. Li hanno coperti di voti in odio agli altri.
Le loro vittorie avrebbero dovuto comportare l’avvento della massima trasparenza e la fine degli accordi riservati, dei conciliaboli segreti, delle camarille in corridoio. Si stanno producendo in riunioni notturne, faide interne, denunce incrociate. Il video streaming lo hanno lasciato agli allocchi, mentre loro non fanno trapelare neanche la sede in cui si riuniscono. Con gli ortotteri vincenti sarebbe stata sconfitta l’arroganza invadente dei partiti, i cui esponenti erano sollecitati ad andare a fare… altrove. Assistiamo all’opposto: proprietari di un non partito, senza manco uno straccio d’investitura democratica, che commissariano enti locali, si sostituiscono agli eletti, dettano le condizioni perché quelli possano restare dove si trovano. Decantarono le primarie on line quale trionfo della democrazia dal basso e la sconfitta delle lobbies, salvo poi prendere atto che quello è il sistema più semplice e meno oneroso affinché le lobbies s’impadroniscano della cosa pubblica, talché le cordate che si trovano dietro questo o quell’eletto sono il coagulo dell’affarismo sgomitante e dell’arroganza tracotante. Solo gli eletti avrebbero dovuto contare, quali portavoce della volontà popolare, però poi il potere è stato consegnato e ancora adesso si pretende di trasferirlo in mani di persone che non solo nessuno ha mai eletto, ma manco conosciuto. Secondo loro gli indagati si sarebbero dovuti tutti dimettere, sentendosi autorizzati ad additare al pubblico disprezzo garantisti come noi, che tali restiamo anche per quel che li riguarda, vedendoli impegnati a contabilizzare avvisi di garanzia e arresti di quanti si sono scelti come compagni di potere.
Il problema non è Virginia Raggi, la cui inadeguatezza è talmente macroscopica da indurre sentimenti di umana comprensione. Il problema è chi ce l’ha messa, chi ha tollerato le conferenze stampa in cui altri rispondevano alle domande che le venivano rivolte, chi l’ha autorizzata a promettere un referendum sui giochi olimpici e poi a far finta di non averlo mai detto, chi s’è preso gioco dei cittadini e del loro voto plebiscitario. Tutto questo ha un costo, è uno spreco, comporta nuova spesa per eleggere qualcuno che, almeno lontanamente, somigli a un sindaco. Non è un incidente di percorso, ma la prova del frinire mendace.
Vabbé, passerà. Non ci scommetterei. Non nel tempo necessario. Quando i partiti della prima Repubblica subirono la concorrenza degli ecologisti ci misero lustri prima di liberarsi di un’ipocrisia verde che ancora paghiamo in bolletta. Quando quelli della seconda si trovano alle prese con il federalismo leghista fecero follie, fino al disastroso cambiamento del titolo quinto della Costituzione, voluto dalla sinistra intenzionata a competere con quel sentimento. E ora che scoppia il fenomeno dell’antipolitica sono tutti lì a fare i politici antipolitici, con Matteo Renzi che pensava anche di governare e ri-riformare la Costituzione, usando quegli argomenti. La discesa sarà lenta, anche perché la contaminazione è stata vasta. Questo, però, non riguarda solo i politici, ma ciascuno di noi, cittadini ed elettori: fin quando non si sarà disposti ad ascoltare e aiutare idee serie, non ridotte a omogeneizzato predigerito di battutine che scoppiettano come petarducci tarocchi, fin quando si riterrà che essere contro sia più utile che chiedersi a cosa essere favorevoli, meriteremo tutti d’essere presi in giro. E dal Campidoglio giunge lo spettacolo grottesco di quanto si possa essere scemi nel farsi prendere in giro da roba di tal fatta. IlGiornale