L’America volta pagina dopo gli otto anni di presidenza Obama e oggi — il martedì successivo al primo lunedì di novembre, come stabilito dalla legge — si ritrova alle urne per eleggere il 45esimo presidente della propria storia, il cui mandato durerà quattro anni e potrà essere rieletto una sola volta. Sebbene oltre 42 milioni di elettori abbiano già espresso in anticipo la propria preferenza — con Stati chiave come la Florida, il North Carolina e il Nevada che hanno fatto registrare un’affluenza record — i cittadini dei 50 Stati che compongono la federazione stanno scegliendo fra la democratica Hillary Clinton, la prima candidata donna scelta da uno dei due principali partiti per la corsa alla Casa Bianca, e il repubblicano Donald Trump, miliardario newyorkese che ha vinto a sorpresa le primarie del proprio partito.
Gli altri candidati
In gara, seppure con un peso molto minore sulla contesa elettorale, ci sono anche Gary Johnson per il partito libertario, che potrebbe rubare qualche voto prezioso ai due candidati principali, Jill Stein per i verdi ed Evan McMullin come indipendente: quest’ultimo potrebbe rappresentare una sorpresa nello Utah, Stato tradizionalmente conservatore, dove i mormoni — guidati dall’ultimo candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney — potrebbero esprimersi con un voto di protesta contro Donald Trump.
I grandi elettori
I cittadini che oggi si recano alle urne, però, non votano direttamente il presidente, ma scelgono i 538 «grandi elettori», un numero pari alla somma dei senatori (100) e dei deputati (435) che compongono il Congresso americano, oltre a tre rappresentanti del District of Columbia, dove si trova la capitale Washington. Il voto è Stato per Stato ed il sistema è maggioritario ovunque tranne che in Maine e Nebraska: chi vince uno Stato, quindi, si prende tutti i grandi elettori che assegna. Per diventare presidente bisogna ottenerne almeno 270.
Il peso degli Stati
Il numero di grandi elettori assegnati da ogni Stato è stabilito in proporzione agli abitanti, con i più popolosi che hanno dunque un peso maggiore sull’esito delle elezioni, rispetto a quelli con meno abitanti: i più influenti sono la California, che ne elegge 55 ed è uno Stato storicamente democratico e il Texas, con 38, di forte tradizione repubblicana. Poi, con 29, New York (solidamente democratico) e la Florida, uno degli Stati in bilico, ovvero quelli con una grossa percentuale di elettori indecisi che in genere decidono le elezioni.
Gli Stati in bilico
Oltre alla Florida, dove Hillary Clinton è data in vantaggio di pochissimo nei sondaggi, l’altro Stato in bilico per eccellenza è l’Ohio, che è considerato il principale indicatore per capire chi vincerà le elezioni: dal 1896 ha sempre votato per il futuro presidente, sbagliando solamente due volte. L’ultimo errore risale al 1960, e quest’anno Trump mantiene un vantaggio minimo nei sondaggi. Gli altri Stati in bilico che avranno un ruolo fondamentale in questa tornata elettorale sono il North Carolina, la Pennsylvania, il Nevada, il Colorado, il Wisconsin, la Virginia, il Michigan — tutti Stati dove Clinton è in vantaggio — e l’Arizona, la Georgia e l’Iowa, dove invece è avanti il candidato repubblicano.
Le operazioni di voto
Sulla costa Est degli Stati Uniti, dal Maine fino alla Florida, le operazioni di voto sono iniziate a mezzogiorno italiano, mentre sulla West Coast i seggi hanno aperto alle nostre 15. Entrambi i candidati hanno già votato a New York, dove sono residenti. Le votazioni termineranno mercoledì mattina, con la chiusura dei seggi dell’Alaska quando in Italia saranno le 7. Questa sera i primi risultati arriveranno all’1 di notte, quando chiuderanno i primi seggi in Georgia, Indiana, Kentucky, South Carolina, Vermont e Virginia: proprio quest’ultima e la Georgia, dove i sondaggi parlano di testa a testa fra i due concorrenti, daranno le prime importanti indicazioni su come andrà la notte elettorale.
Quando arriva il nuovo presidente
All’1.30 chiuderanno invece i seggi in West Virginia, North Carolina e soprattutto Ohio. Per questi ultimi due Stati passa la strada che potrebbe portare Donald Trump alla Casa Bianca: qui sono riposte le sue speranze di vittoria, e se dovesse arrivare una sconfitta molto probabilmente la partita sarebbe chiusa. I seggi dell’altro grande Stato in bilico, la Florida, chiuderanno alle 2 di notte, insieme ad altri quindici Stati, fra cui la Pennsylvania: anche lo «Stato del sole» potrebbe mettere la parola fine alla corsa. Fra le 2.30 e le 5 del mattino, infine, chiuderanno i seggi di 24 Stati e, prima ancora che finisca il voto in Alaska, potrebbe arrivare l’annuncio ufficiale del vincitore.
Il collegio elettorale degli Stati Uniti
Dopo le elezioni, i grandi elettori scelti alle urne dagli elettori americani saranno chiamati a votare il presidente «il lunedì dopo il secondo martedì di dicembre», che quest’anno sarà il 19: presidente e vicepresidente vengono dunque scelti dal collegio elettorale degli Stati Uniti, l’organo che raccoglie i grandi elettori, che però non si riuniscono tutti insieme. Anche se formalmente liberi di votare per chi vogliono, i grandi elettori sono di norma funzionari di partito e scelgono il candidato espresso dal proprio schieramento.
L’inaugurazione
I voti dei grandi elettori verranno inviati da ogni Stato al Senato, dove verranno riposti in due casse di mogano. Il Congresso si riunirà il 6 gennaio in seduta congiunta per conteggiare i voti: due uscieri del Senato collocheranno le schede su un tavolo davanti a deputati e senatori, dichiarando i vincitori. Il passaggio di consegne fra Obama e il futuro presidente avverrà il 20 gennaio, quando si terrà la cerimonia di inaugurazione e il nuovo presidente si insedierà alla Casa Bianca.
Le altre sfide dell’8 novembre
Oggi però gli americani non votano soltanto per il presidente: sono in palio anche tutti i 435 seggi della Camera (che si rinnova totalmente ogni due anni: i repubblicani in cerca di conferma sono 247) e 34 senatori (il Senato si rinnova per un terzo ogni biennio): i repubblicani hanno la maggioranza in entrambe le Camere, ma i democratici puntano a riconquistare il Senato, dove i repubblicani in cerca di riconferma sono 24. Si vota anche per rinnovare 12 governatori (7 democratici e 5 repubblicani) su 50, mentre 8 Stati si esprimono sulla legalizzazione della marijuana e quattro per innalzare il salario minimo. La California, infine, valuta la Proposition 60: un’iniziativa per imporre l’uso dei preservativi e di altre «misure protettive» sui set dei film porno.