Né vittime né colpevoli, così in Europa muore la Democrazia

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di Salvo Reitano

Trentadue anni fa, mica ieri, ci capitò di leggere un’intervista al giornalista, scrittore e filosofo Jean Francois Revel in occasione della presentazione del suo libro intitolato “Come finiscono le democrazie”. Del suo argomentare polemico e dotto restò impressa questa frase che segnammo sul taccuino degli appunti a futura memoria: “Nelle nostre democrazie – e teniamo presente che è la prima volta dal 1922 che non c’è una sola dittatura al potere nell’Europa occidentale – l’industria più fiorente è l’autocolpevolizzazione”. Ci è tornata in mente, in questi giorni, ora che più forte è la solitudine del nostro Paese nella gestione del dramma del terremoto e del dramma dei migranti.

L’ultima tragedia al largo delle coste siciliane conta oltre 200 dispersi, e tra loro anche tanti bambini. Tutto questo mentre giungono le accuse rivolte da Amnesty international nei confronti di chi è chiamato in prima persona a gestire questa emergenza infinita. Nel 2016 sono altre 4 mila le persone inghiottite dal mare. Uomini, donne e bambini senza nome di cui non rimarrà traccia. Mentre scriviamo questa nota proseguono come ogni giorno recuperi e soccorsi. Con le navi della nostra Marina Militare che cercano di salvare quante più vite possibile; con i centri di accoglienza che scoppiano e le polemiche che infuriano, come per il Cara di Mineo del quale questo giornale si è occupato in un’inchiesta che ha poi avuto conferme in ambito giudiziario. Il rifiuto di chi non vuole i profughi e alza muri ideologici e materiali e si scontra inevitabilmente contro le richieste di chi auspica un ricollocamento. L’Europa che latita e non dà risposte. Anzi: prima consente la cosiddetta “giungla” di Calais,  nel nord della Francia, e poi usa i bulldozer e il fuoco per cancellare un accampamento di baracche abitate da oltre 10 mila uomini in fuga, simbolo del fallimento della gestione dei migranti.

Questa è la grande casa europea, ma non è l’Europa dei popoli e della solidarietà. E’ un’altra cosa. E’ l’Europa dove vige la dittatura della banche e del vile denaro. L’Europa delle mafie, delle massonerie e delle consorterie. L’Europa della Brexit rimessa in discussione dall’Alta Corte di Londra in un ridicolo tira e molla. L’Europa della lettera “tanto attesa” nei Palazzi romani che arriva da Bruxelles e interviene sulla manovra finanziaria di uno stato sovrano che ha il suo bel da fare tra migranti e terremoto. Non è la fine della democrazia, ma ci siamo vicini. Così tra accuse e indifferenza il nostro Paese sembra essere sempre più solo su tutti i fronti dove l’emergenza incalza.

Come uomini, come cittadini, come europei e come giornalisti (per quel che conta ancora questo mestiere), noi sogniamo di poterci congedare dalla vita restando uomini, europei e liberi cittadini. Non ci fa paura il flusso migratorio che investe il vecchio continente; succede dall’alba dei secoli che interi popoli si spostano da un’area all’altra del pianeta. Nemmeno il terrorismo islamico ci fa paura;  è solo un’opportunità per i poteri forti del mondo e i venditori di armi, destinato ad esaurirsi come quelli che lo hanno preceduto. E non ci fa paura il tremare improvviso della terra. Il pianeta, dove ci è toccato in sorte di vivere, ha sempre tremato e continuerà a farlo per i millenni a venire. Per limitare i danni basta solo avere più accortezza nella gestione del territorio, lasciato, invece, all’incuria e alla cementificazione indiscriminata e selvaggia. Ci spaventa, invece, la morte che ci portiamo dentro in questo presente incerto. Il nulla che racchiudiamo sotto abiti griffati e pance ben nutrite. Può darsi che domani un politico, un intellettuale, un economista, un filosofo di nuovo lignaggio riuscirà a spiegare come il dramma della migrazione sia stato soltanto un “falso problema”, inventato da questa nostra inerzia morale, quindi mortale, e quotidiana.

Seguitiamo impauriti e fiacchi a prefigurarci, rassegnati, un futuro mostruoso mentre ci rifiutiamo di usare il nostro presente come trampolino per nuove idee e belle azioni. Uno spettro maligno si incarna in noi: il disamore per la civiltà in cui siamo nati. La saccheggiano ogni giorno con pensieri, parole, opere e omissioni, ma non coltiviamo il rispetto e l’amore necessari per respirare ancora l’immensa aria di una civiltà mediterranea ed europea della quale evidentemente ci siamo stancati. Chi non si è stancato avverte un senso di profonda solitudine, come una sentinella, buffa  e ridicola, a guardia di cieli, mari, terre, muri, piazze, strade, chiese e silenzi che sono anch’essi Italia ed Europa. L’anima segreta e colta: l’Italia del Rinascimento e l’Europa dell’Illuminismo. Stiamo uccidendo la nostra storia. Molte sono le colpe della mostruosa mediocrità politica nostrana ed europea. Molte sono le colpe delle scuole e delle università che non hanno insegnato nulla ad alcuno, nemmeno a scrutare per un solo attimo “ciò che fu”. Ma ancora peggio è la complicità di ognuno di noi, che non cessa di infilare altre pietre negli ingranaggi della civiltà che ci ha partorito.
Così pur godendo di una libertà che l’Europa e soprattutto l’Italia non hanno mai conosciuto nei secoli, questo declinare del nostro tempo nel segno dell’incultura di massa è davvero intollerabile.

I flussi migratori, i terroristi che sparano e la terra che trema diventano una scusa per girare lo sguardo altrove. Scriveva Luciano di Samosata, idealmente fedele al mondo classico, improponibile nel secondo secolo dopo Cristo: “Perfetto è l’uomo che vive e pensa e vede la fine di un’epoca”. Un pensiero che nella sua semplicità va tenuto nel cuore e nella mente come una scintilla.

Non c’è bisogno di credere nella perfezione, ma dobbiamo guardare a quanto di più triste ci circonda con un occhio umano e quindi europeo. I nostri governanti che occhi hanno? Come li usano? Cosa vedono? E siamo sicuri che quello che vedono è davvero quello che realmente si vede? Per queste ragioni, se non vogliamo la fine della democrazia e della libertà dobbiamo far fronte. E saper dire qualche chiaro “no” ai diktat volgari e avvilenti di chi comanda con le banche, il denaro, le mafie e le consorterie un intero continente. E sono proposte ammantate di falsi ideali: si tratti di migranti, di lotta al terrorismo, di manovre finanziarie, di deficit da contenere, di emergenze da affrontare. Dietro ognuno di questi sermoni vi sono propositi turpi, illusioni antistoriche dettata da bestiale ignoranza, vi sono giochi occulti e rozzezza intimidatoria e ricattatrice. Un uomo libero, cittadino ed europeo, non può continuare all’infinito a sottostare a tanta protervia e bugiarderia. Pur diviso e assediato il continente Europa è ancora bello di cultura e amorevole di luoghi; fatto di mille angoli da godere e da salvare. Solo il cittadino europeo può comprenderlo. Ma non lo capirà lasciando correre, rassegnandosi, chiedendo gli occhi e il pensiero. Vivere l’Europa è ancora il destino migliore che possiamo immaginare. Facciamo in modo che la fretta di autocolpevolizzarci non abbia il sopravvento e che non acceleri la fine della democrazia e della libertà. Per non finire bruciati come le baracche di Calais. SiciliaJournal.it